C’è una ragione in più per votare 

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A conclusione di una campagna elettorale ritenuta dalla maggior parte degli elettori fondata più sulla muscolarità delle forze in campo che contrassegnata dal confronto sui contenuti, vale la pena di soffermarsi su questi ultimi, almeno per provare a combattere il fenomeno dell’assenteismo. Sull’argomento si è molto discusso finora cercandone la causa in una certa delusione dell’elettore o, peggio ancora, nel sentimento diffuso sintetizzato nel refrain “tanto nulla cambia”. Sono questi alcuni dei motivi per cui il diritto-dovere del voto diventa espressione dell’appartenenza alla tifoseria di questo o quall’altro partito o soggetto politico. Solo raramente l’espressione del voto si coniuga con l’esigenza di portare in primo piano la soluzione di un problema o l’applicazione di una visione. Io credo che per noi meridionali ci sia una ragione in più per recarsi alle urne. Deriva dalla constatazione che, salvo rare eccezioni, si è poco discusso nella campagna elettorale che si è appena conclusa di questione meridionale e del ruolo che il Sud deve avere nel Paese.

In realtà, con frasi molto generiche, si è parlato di un Mezzogiorno in netta ripresa che, pur offrendo un dato oggettivo, è solo parte di un più complesso sistema. E’ vero: il Sud è in ripresa, ma lo è nella misura in cui tutto il Paese, e in particolare il Nord, riprende a viaggiare speditamente. Se, però, ci si sofferma sui dati endogeni del Sud si scopre che i ritardi sono tanti e consistenti. E’ innegabile, infatti, che l’occupazione giovanile raggiunge cifre drammatiche; che la cosiddetta fuga dei cervelli continua inesorabile, anche per l’assenza di adeguati centri di formazione e di ricerca; che il concetto stesso di classe dirigente è prigioniero di un intreccio politica- malaffare. Si potrebbe continuare all’infinito se solo si volesse analizzare, come fa acutamente da tempo la Svimez, le ragioni di arretratezza per antichi e nuovi problemi.

Se così è, e pochi sono i dubbi, stando alle recenti statistiche, perché allora non leggere nel dilagante astensionismo Del Mezzogiorno (si dice che qui il non voto sia il primo partito) uno dei mali che penalizzano il Sud? Il non recarsi alle urne è una menomazione della partecipazione, sia che essa sia protesa a mantenere lo stato quo che, al contrario, sia proiettata nella volontà di cambiare. Non esercitando questo diritto- dovere si lascia terreno libero a chi si affida alla sola organizzazione del consenso e, così facendo, si consegna a questi una sorta di delega in bianco. Poi, però, non bisogna piangersi addosso se i governi nazionali sono poco attenti al Mezzogiorno. Non serve denunciare con lacrime strappacuore che quando in Parlamento si discute del caso Sud gli scranni dei parlamentari meridionali brillano di assenze. Possiamo allora solo dire che il Mezzogiorno non vuole cambiare, perché forse ha paura di farlo o, peggio ancora, si accontenta delle mance che vengono elargite.

Il Sud può diventare protagonista dello sviluppo del Paese se attua una politica di autodifesa, se partecipando attivamente alla gestione delle risorse umane ed economiche che si decidono laddove si programma, offre la propria capacità di dirigere i processi di cambiamento. In sintesi, se i meridionali partecipano e non latitano nelle grandi occasioni come è quella dell’espressione del voto possono diventare sempre più protagonisti del loro destino. Parlare di sfiducia nelle forze politiche diventa un alibi. Contribuire alla scelta della rappresentanza parlamentare è il primo obbligo morale del cittadino soprattutto meridionale.

Il fenomeno dell’assenteismo, che spesso si coniuga con la delegittimazione della politica, ha avuto un incremento notevole con il passare degli anni. Nel 1948 gli italiani che non votarono alle elezioni politiche furono appena il 7,8 per cento, mentre alle elezioni del 2013 il tasso di astensione è arrivato al 28 per cento, con picchi del 50 per cento in alcune zone del Paese. Facciamo in modo che il dato del non voto di oggi possa essere sonoramente sconfitto da un Sud che vuole riscattarsi e intende da ora procedere in un percorso virtuoso. Il nemico non è l’urna, è l’assenza nelle cabine elettorali.

di Gianni Festa edito del Quotidiano del Sud