Coltivare orizzonti di speranza

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La prossima ricorrenza del Primo Maggio – festa del lavoro – evoca i tanti momenti di partecipazione ai cortei celebrativi dei sindacati e delle forze sociali, come le ACLI, che hanno posto al centro del loro DNA associativo il lavoro. Quest’anno la solitudine dettata dalla pandemia in atto costituisce momento utile per tentare un’analisi della situazione attuale e proporre dei contributi concreti per affrontare la crisi del lavoro e delle sue implicanze economiche e sociali. Innanzitutto la centralità del problema lavoro va ricondotta alla centralità della persona e non all’intersecazione antica tra profitto e domanda dei consumatori, secondo le virulente e ferree leggi del mercato globale. Ridurre la persona che lavora ed i milioni di consumatori di beni e servizi a dei numeri senza anima, significherebbe disumanizzare la comunità globale e cedere il passo al definitivo disastro antropologico. Poiché, dopo la pandemia, nulla sarà come prima, l’occasione del prossimo Primo Maggio sarà un momento propizio per delineare un progetto per costruire un’economia diversa, consapevoli che è possibile e che l’onnipotenza dei potentati finanziari si rivela impotente contro le tempeste impreviste che travolgono i percorsi esistenziali e le persone, ricche, potenti o povere che siano.

Centralità del lavoro significa anche eliminare i divari di sviluppo territoriale nord – sud, regioni ad economie forti e regioni a tassi occupazionali bassissimi. Centralità del lavoro significa, altresì, non demonizzare il progresso tecnologico. La storia ci insegna che le rivoluzioni tecnologiche hanno anche conferito dignità e più agevole sforzo  lavorativo alla persona del lavoratore. Sono le esagerazioni di uno sviluppo tecnologico esagerato dalla massimizzazione del profitto a disumanizzare il lavoro ed a ridurre il lavoratore ad un segmento ripetitivo delle catene di montaggio. Siamo convinti che non è il progresso scientifico e tecnologico che “ruba” il lavoro, ma è la mancanza di politiche sociali ed economiche finalizzata ad una progressiva e compatibile redistribuzione della ricchezza, delle risorse e dei servizi alla persona del lavoratore. Realizzare questi obiettivi, in direzione delle esigenze comunitarie, non è facile in un mondo appesantito da limiti e vincoli egoistici, ma è possibile solo con la consapevolezza che la costruzione del bene comune nasce dalla nuova cittadinanza attiva e responsabile dei lavoratori e delle imprese, attraverso una concertazione concreta ed immediata. Certamente si tratta di uno sforzo formidabile che richiede l’impegno di tutti in tempi brevi. La tanto auspicata ricostruzione sociale ed economica italiana, europea e mondiale, della fase postuma alla pandemia in atto, può essere realizzata solo se si ricostruiscono i legami umani, civili e spirituali delle rispettive comunità, partendo dalla condivisa consapevolezza che nulla può essere come prima. La lezione cosmica del covid–19 probabilmente è l’ultimo monito ai reggitori delle istituzioni, induce tutti ad affrontare la crisi ecologica, la crisi della fame, quella del sottosviluppo di cospicue aree geografiche del pianeta, ed il sempre possibile ritorno delle virulenze pandemiche. Tali emergenze vengano affrontate con un corale sforzo di trasformare l’attuale mondo, costellato da guerre e sorprese di ogni genere, in una casa comune in cui i nostri problemi diventino quelli degli altri e viceversa. Le tappe necessarie di questo sforzo globale sono costituite dalla necessaria coniugazione tra economia ed ecologia, dalla difesa idrogeologica dei territori, dai progetti di protezione civile per i ricorrenti eventi sismici e da una terza fase, dopo quella della ripartenza dei processi produttivi, che dovrà affrontare le problematiche della commercializzazione, della esportazione e della concorrenza globale. È urgente, frattanto, che le nostre istituzioni nazionali e le forze migliori del Paese sappiano imboccare, con decisione e competenza, le strade concrete per una nuova rinascita economica, civile e sociale. All’interno di questi orizzonti di futuro e di concreta speranza, credo abbia senso e consapevolezza la prossima ricorrenza del Primo Maggio 2020.

di Gerardo Salvatore