Se crescono disagio e precarietà

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Le vite reali delle persone normali, con le loro storie di ordinaria faticosa quotidianità, passano sempre più in secondo piano, sembrano contare poco o nulla, nonostante l’aumento esponenziale di un disagio sociale e di una precarietà materiale crescenti, che rischiano di vedere allargata la forbice tra grande ricchezza, concentrata nelle mani di pochi, e sacche di povertà sempre più gonfie di nuovi poveri.

La crisi economica, a seguito dell’emergenza pandemica, sta profondamente cambiando volto alla povertà, esacerbando le condizioni materiali di vita dei soggetti sociali più esposti. A pagare la crisi sono certamente i deboli nuclei familiari meridionali. I giovani e le famiglie meridionali sono in particolar modo le due entità sociali più colpite. Così da restituirci la fotografia di un Paese drammaticamente impoverito, con un orizzonte futuro ristretto, un quadro sociale che ormai conta milioni di cittadini sotto la soglia della povertà.

Nel Sud la crisi sembra mordere anche più che in altre aree, rischiando di far precipitare nel baratro senza luce della disoccupazione migliaia di lavoratori e di famiglie. Poi esiste soprattutto una povertà nascosta, silenziosa, quasi invisibile, che si cela dietro il velo della dignità di gente abituata a vivere, con pudore, un disagio in aumento che sta mettendo a dura prova una vita giá “precaria”.

Nel frattempo la “politica politicante” non sembra voler smentire se stessa, confermando la distanza siderale con il Paese reale, una disconnessione pressoché totale con il sofferente tessuto sociale.

Nelle piccole comunità si è allentata anche quella rete di reciproca solidarietà che contraddistingueva un certo sistema di valori, anch’esso entrato in crisi. Il pericolo incombente è la “scomparsa” della povertà, la “scomparsa” della povertà come notizia.
La conseguenza è che restano in ombra le povertà normali, vissute in solitudine e per quanto possibile nascoste.
Il diario della crisi pandemica racconta della realtà di un Paese ricoperto da una coltre impressionante di macerie sociali ed esistenziali, di vite letteralmente spezzate.

Questa crisi pandemica ormai sta collocando in una posizione di “secondarietà”, nell’agenda politica internazionale, le vite reali delle persone “normali”, che sembrano contare sempre meno, a fronte di un disagio sociale crescente. Il “dio mercato” si conferma il nuovo potente idolo della post-modernità e della post-democrazia. “I mercati” decidono delle esistenze delle persone, dei cittadini, e noi ci pieghiamo alla loro volontà, consapevoli che dietro agiscono cinici speculatori.

Di questa crisi si avverte la minaccia ogni giorno, con la politica che sembra essere inesorabilmente piegata alle logiche dell’onnipotente “dio mercato”. L’Europa ormai é inaridita dalla sterilitá di sigle, BCE, MES, UE, che provano soltanto l’agonia in cui é precipitata.

Loro chiedono, esigono, piegano le democrazie di Paesi sovrani, li assoggettano al proprio volere, fomentando timori, seminando il panico in giro per il malato Vecchio Continenente. Noi, invece, impotenti siamo costretti ad assistere a questa idolatrante schizofrenia moderna, a questo folle culto di un “dio sadico” e delle sue vestali. Intanto, vorremmo scorgere un barlume di luce in fondo al tunnel rinvenendo finalmente segnali di rinsavimento, di ritrovata “laicità”, in una parola, di ritorno alla “Politica”.

di Emilio De Lorenzo