Contro la banalità del male

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L’ultimo orrore di questo terribile mese di luglio arriva nuovamente dalla Francia. Un parroco sgozzato in una chiesa della Normandia. Un salto di qualità, la morte di un sacerdote nella strategia folle di un terrorismo che non conosce più limiti. Un episodio terribile che arriva dopo quelli di Dacca, Nizza, Monaco di Baviera. Tappe di una via Crucis che rende molto difficile il ritorno alla normalità. Non ci sono più porti tranquilli. La globalizzazione ha esteso a dismisura i suoi benefici ma ha anche le disuguaglianze. Sono aumentati i conflitti armati, le tensioni sociali, il degrado ambientale. Insomma soldi e prospettive di vita diverse hanno reso più evidenti le differenze tra chi ha e chi non ha nulla o quasi. La disperazione di chi fugge dalle guerre e rischia la vita su barconi di fortuna è l’esempio di questo mondo che marcia a velocità diverse. Il ricco Occidente deve delle risposte altrimenti la nostra vita quotidiana resta perennemente in bilico. Il terrorismo islamico dall’undici settembre in poi ha sconvolto riti e abitudini consolidate. Le file interminabili per prendere un aereo o i controlli nelle metropolitane non sono però serviti a nulla. La morte atroce arriva nei ristoranti come a Dacca, lungo una strada agghindata a festa come a Nizza, in una Chiesa a Nord della Francia. Quello che muore è la normalità della vita. Il vivere quotidiano è stato spazzato via dal terrore provocato da un pazzo o da quello più organizzato dell’Isis. Una semplice passeggiata può diventare un rischio. Negli anni settanta l’Italia riuscì a sconfiggere il terrorismo brigatista oggi la battaglia non è più di singoli paesi ma è diventata inevitabilmente globale. Per tutto il mese degli europei di calcio abbiamo temuto un attentato che non è mai, per fortuna, arrivato. La polizia francese ha dovuto solo fronteggiare gli stupidi hooligans da trasferta. Quando finalmente stavamo tirando il fiato è arrivata prima la strage di Nizza e poi la tragica esecuzione in Normandia. L’obiettivo del terrorismo è quello di rinchiuderci dentro le nostre case. La paura come sentinella permanente. Rovesciare questo stato d’animo è essenziale. Padre Jacques Hamel, ucciso da due pazzi fanatici davanti all’altare, è un uomo straordinario nella sua semplicità. Un ottantaseienne prete di provincia sconosciuto al mondo ma non alla sua comunità. Prima della sua tragica fine ci ha lasciato un amaro e inconsapevole testamento. Un messaggio ai fedeli scritto sul bollettino parrocchiale prima dell’inizio delle vacanze. Scrive il sacerdote francese che “bisogna ascoltare l’invito di Dio a prenderci cura di questo pianeta e a farne, dove lo abitiamo, un mondo più ospitale, più umano, più fraterno. Un tempo di incontri, con conoscenti e amici, un momento per cogliere l’occasione di rivivere qualcosa insieme. Un momento per prestare attenzione al nostro prossimo, quale esso sia. Un tempo di condivisione, uno spazio per la nostra amicizia, la nostra gioia. Facciamo sì che il nostro cuore presti attenzione al singolo individuo e a coloro che rischiano di sentirsi un po’ più soli”. Una riflessione che letta oggi suona come profetica e tocca tutto il mondo occidentale chiamato a trovare il modo di difendere i tanti cittadini morti dopo le Torri Gemelle e dopo gli ultimi attentati in Germania e in Francia. Tutti noi conosciamo solo le regole della democrazia che contempla diritti e doveri nel rispetto delle istituzioni. Chi ci colpisce lo fa innanzitutto perché non le comprende e si muove nel fanatismo religioso o in un profondo disagio sociale. Amalgamare culture così diverse oggi ci sembra impossibile ma è la vera sfida del futuro per non consegnarci alla “banalità del male” come avrebbe detto Hannah Arendt.
edito dal Quotidiano del Sud