“Così ho trasformato il genere noir”

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“Sullo sfondo la città di Napoli che finisce per assomigliare ai due protagonisti”

 

«Non è un film che nasce dal desiderio di raccontare Napoli. La città partenopea è solo una cornice delle vicende, uno spazio che finisce però con l’assomigliare molto ai due protagonisti, con le loro luci e ombre, con le loro contraddizioni». Lo sottolinea con forza il regista partenopeo Toni D’Angelo, classe 1979, nell’illustrare “Falchi”, pellicola noir, con Fortunato Cerlino, Michele Riondino, Stefania Sandrelli, Pippo Delbono, Xiaoya Ma, Aniello Arena, Gaetano Amato, Alessandra Cao, da oggi al cinema. Sabato 4 marzo, alle 20.15, sarà proiettata al Movieplex di Mercogliano nell’ambito della rassegna “Incontro con l’autore”, promossa dallo Zia Lidia Social Club. A confrontarsi con il pubblico il regista Toni D’Angelo e il produttore Gaetano Di Vaio. I “Falchi” del titolo sono i due protagonisti, Peppe e Francesco, poliziotti della sezione speciale della Squadra Mobile di Napoli che attraversano  i vicoli della città come moderni centauri per far rispettare l’ordine e assicurare i delinquenti alla giustizia. I loro metodi sono poco ortodossi ma sempre efficaci, la loro è una lotta al potere criminale che non può non coinvolgere anche i loro affetti. Ne scaturirà una vendetta condotta senza esclusione di colpi.  «Peppe e Francesco – spiega D’Angelo – sono due esseri umani che vivono il lavoro come una missione, perfetti quando si tratta di combattere la malavita, quasi invincibili nella loro capacità di arrestare i criminali ma si ritroveranno ben presto a fare i conti con i loro scheletri nell’armadio. Non possono fare a meno l’uno dell’altro ma, al di fuori del lavoro, sono due uomini profondamente  solitari, che fanno fatica a vivere i loro affetti». E’ lo stesso regista a chiarire come non «”Falchi” non è certo un poliziesco classico, in cui c’è un criminale da scovare, quella che racconto è una storia intimista che diventa l’occasione per parlare di valori universali, come la dannazione, l’amore e l’amicizia. Peppe e Francesco sono due uomini insoddisfatti che difendono la loro speranza di felicità anche con modi non del tutto leciti». Non ha dubbi «i miei riferimenti sono i melò, noir e polizieschi di registi della Hong Kong anni ’80 e ’90 come John Woo, JohnnieTo o Tsui Hark, intrepreti di un cinema autoriale ma capaci comunque di farsi comprendere dal pubblico. Ma guardo anche ai disperati drammi criminali di un maestro come Abel Ferrara, al quale ho dedicato la tesi di laurea e col quale ho fatto le prime esperienze di set». Non ha dubbi D’Angelo, figlio d’arte – suo padre è il più famoso Nino, cantante simbolo della tradizione partenopea – al suo terzo lungometraggio di finzione (dopo “Una notte e L’innocenza di Clara): «C’è posto in Italia anche per un cinema differente, autoriale e meno stereotipato, ma si deve lottare per ritagliarsi un proprio posto sul mercato. Anche gli incontri sono determinanti. Ho avuto la fortuna di incontrare due produttori che hanno creduto in me come Gianluca Curti e Gaetano Di Vaio. E la risposta del pubblico comincia ad essere positiva come dimostra il riscontro ottenuto da film indipendenti».  A produrre la colonna sonora del film Nino D’Angelo, padre del regista che racconta: «Ho fatto quello che mi chiedeva mio figlio, con forti richiami agli anni ’70. Oggi quando si deve fare una colonna sonora di un film ambientato a Napoli si usano solitamente suoni un po’ hip hop, ma io ho voluto farlo più a modo mio».