Così il Governo smantella il welfare

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Parafrasando un detto della Roma dei Papi:” Quello che non fecero i barbari, fecero i Barberino” si può tranquillamente dire che nell’Italia di oggi, quanto non riuscì ai governi del centro destra nello smantellamento dello stato sociale, soprattutto per l’opposizione della sinistra e dei sindacati, sta riuscendo ai governi di centro sinistra e a quello di Renzi in particolare. In verità, sulla flessibilità del lavoro aveva cominciato Treu, ministro del Governo Prodi, nel 1996, con il suo famoso “pacchetto”. Da allora si è proseguiti in discesa fino a Jobs Act di questo Governo che ha annullato definitivamente quasi tutti i diritti conquistati dai lavoratori in cinquant’anni di lotte e di rivendicazioni. Oggi la demolizione dello stato sociale – uno dei risultati più deflagranti della globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia- è in piena attuazione. L’assistenza sanitaria uguale per tutti, uno dei vanti dell’Italia repubblicana, è ridotta ai minimi termini per i debiti, malgoverno, corruzione, ticket, liste d’attesa, pessimi servizi e progressiva privatizzazione, soprattutto nelle regioni del Sud. Ora è la volta delle pensioni! Il tam tam televisivo, dei giornali governativi e di quelli padronali, è ossessivo, progressivo, intenso, costante fino a rasentare un vero e proprio terrorismo psicologico. Si era partiti con una buona riforma del Governo Dini, organica e coerente e che sanciva il passaggio dal calcolo retributivo a quello contributivo – più sfavorevole- e prevedeva un graduale periodo transitorio per arrivare a regime, rallentato, poi, dalla crisi economica di questi ultimi anni. Si è giunti, poi, alle riforme capestro a cominciare da Maroni per finire a Fornero. Si è modificato lo stesso concetto di pensioni intese come protezione sociale e salario differito, e si rischia, che in un futuro non tanto lontano, possano sparire anche come ammortizzatore sociale. Intanto si sono abolite le pensioni di Anzianità; il calcolo contributivo si è esteso a tutti, anche se in pro-rata; si è aumentata l’età della pensione – la più alta d’Europa mentre prima era la più bassa; si sta mettendo mano – con perfidia e cinismo e rompendo il patto con i cittadini – alla riduzione delle pensioni in essere, non di quelle d’oro dei boiardi di Stato, politici compresi, ma quelle del ceto medio superiori ai 1.300/1.400 euro netti, con la falsa accusa che sono queste a causare il debito dell’INPS, perché sono molte e non la politica dei governi che si sono succeduti nella seconda repubblica. Si tace ambiguamente che, se anche il bilancio dell’INPS sarebbe in attivo, i giovani avrebbero comunque una pensione irrisoria perché per la precarietà del lavoro, la disoccupazione e i bassissimi salari, i loro contributi da prendere a calcolo per la pensione, risulterebbero comunque talmente bassi da essere integrati dallo Stato, come lo sono le pensioni che non superano i 500 euro mensili. Senza considerare che le integrazioni al trattamento minino non dovrebbero gravare sul bilancio dell’Inps bensì sulla fiscalità generale. In verità lo Stato è inadempiente, anzi non versa neanche i contributi per i dipendenti pubblici. Così stando le cose si può giudicare positiva una politica del governo che, invece di perseguire, un maggiore equilibrio tra le classi sociali, attraverso una più equa distribuzione delle risorse ed una vera lotta all’evasione fiscale ( non aumentando l’uso del contabili e favorendo il trasferimento delle ricchezze personale nei vari paradisi fiscali), fa degli “aggiustamenti” dello status quo il suo unico impegno e degli annunci la solita “aria fritta” e, invece di una politica di investimenti per creare posti di lavoro e di una più equa redistribuzione del reddito un suo imperativo categorico perché il mercato crea ricchezza ma non la distribuisce, si affida sempre di più alle teorie liberistiche della troica europea che, a parole, appare contrastare, ignorando che siamo di fronte ad una crisi epocale, come i milioni di profughi stanno a dimostrare, dalla quale non si esce senza vere riforme di struttura!
edito dal Quotidiano del Sud