Così il virus ha trasformato le nostre vite

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Gli occhi del mondo sono tutti puntati verso l’Ucraina, la guerra è la grande emergenza di queste settimane. Un conflitto aperto nel cuore dell’Europa, un’immane tragedia provocata dalle bombe di Putin che sta massacrando un intero Paese facendo ritornare il mondo ai tempi della “cortina di ferro”. Danni incalcolabili che arrivano mentre tutto il mondo è ancora alle prese con l’incubo Covid, che fa meno paura di qualche tempo fa grazie ai vaccini, ma che, purtroppo, è ancora presente. Domani verrà celebrata la giornata nazionale in memoria di tutte le vittime dell’epidemia da coronavirus. Istituita l’anno scorso, la data è stata scelta perché il 18 marzo del 2020 i mezzi pesanti dell’esercito portano via da Bergamo, una città silente e deserta, centinaia di bare dal cimitero monumentale. Una colonna di camion militari, in una sorta di grande marcia funebre, che escono dalla città, un’immagine triste e potente, un simbolo di quello che la pandemia ha rappresentato e di come ha segnato la vita di tante famiglie. Un’immagine che più di tante parole ha descritto perfettamente i contorni della catastrofe. Ricostruire senza dimenticare è stato l’impegno preso dal Presidente del Consiglio Draghi un anno fa proprio a Bergamo, un impegno che è un dovere verso chi ci ha lasciato. E l’abbraccio di tutta Italia a Bergamo lo aveva portato il Capo dello Stato Sergio Mattarella il 27 giugno del 2020 quando, proprio al cimitero monumentale, era stata allestita la rappresentazione della Messa da Requiem di Donizetti. Nella nostra Irpinia, il 15 marzo del 2020 la decisione del presidente della regione Campania di istituire la zona rossa ad Ariano., una città che ha vissuto per mesi blindata, giornate da incubo. Quando il Covid apparve in Italia nel febbraio del 2020, ci sembrava un nemico lontano in arrivo dalla Cina. Al contrario in pochi giorni il virus è diventato il nemico peggiore e ha radicalmente trasformato la nostra vita quotidiana. Cresceva il contagio e cresceva la paura. Tante volte, soprattutto in estate, ci siamo illusi che fosse finita ed invece si ricominciava. La mascherina è stata la nostra principale compagna di viaggio, una specie di “coperta di linus” indispensabile per ogni spostamento, per riprendere i contatti sociali e per tornare a vivere normalmente. Abbiamo vissuto vite sospese sempre nel terrore di una ripresa dei contagi. Il sociologo Ilvo Diamanti ha messo ben in evidenza che nel tempo “il virus stesso è cambiato. Da una variante all’altra, fino a quella attualmente più diffusa: Omicron, a sua volta in costante variazione. Con effetti meno seri e gravi, sulla salute e sulla vita delle persone. Mentre noi stessi ci stiamo adattando al virus. Non solo sul piano fisiologico, ma psicologico. Il virus, in altri termini, fa ancora paura. E colpisce le persone. Ma in misura minore, rispetto al passato. Lontano e recente. E questo è sicuramente positivo. Ma, al tempo stesso, rischioso. Perché la tentazione di cancellare il passato, dopo quel che abbiamo passato, è forte e comprensibile. Tuttavia, è meglio non dimenticare. Il sentimento che ci ha accompagnati in questi due anni insieme alle nostre preoccupazioni. Per non finire confusi nella zona grigia tra CoronaVirus e PauraVirus”. Queste due ultime parole ci fanno capire quanto sia cambiato anche il nostro linguaggio, sono entrate nella dialettica comune termini come quarantena, coprifuoco e oggi i nomi delle città ucraine, mentre fino a poco tempo fa non sapevano nemmeno della loro precisa collocazione geografica. Tutto ci appare come un gigantesco brutto sogno e vorremmo tanto essere rassicurati e sperare che luoghi come Kiev o Wuhan tornino ad essere solo nomi di città e non sinonimi di incubi.

di Andrea Covotta