Siamo, ormai, alle porte del Natale, a conclusione del periodo liturgico dell’Avvento. Questo particolarissimo periodo del 2020, per la Chiesa Universale e per il mondo intero, ha rappresentato un “Tempus clausum”, così, in altre epoche, si definiva il tempo dell’Avvento e della Quaresima durante il quale erano proibite le feste pubbliche. Attualmente tale periodo viene chiamato “lockdown” dovuto alla pandemia ancora tremendamente presente. In ordine a questa drammatica situazione temporale avvertiamo che il presente ci appare terribilmente reale, non più transitorio come eravamo da tempo abituati. In sostanza il mito moderno del tempo progressivo e comunicativo è stato oscurato dalla verità rivelatrice di un invisibile virus di cui non esistono precedenti. Di conseguenza siamo angosciati da un futuro che non promette nulla di buono e da un passato di cui avvertiamo la nostalgia e il bisogno interiore della commemorazione. Ci sentiamo, pertanto, irretiti da un presente che è diventato l’unica dimensione disponibile del tempo, un presente ridotto a “presentismo” come asseriscono alcuni analisti della situazione antropologica attuale, definendolo il male moderno del tempo. Il cristianesimo, purtroppo, accusa, oggi più che mai’, l’impatto della modernitàe della drammaticità attuale e vive con difficoltà l’esigenza di raccogliere la sfida, quella della coniugazione dei tempi tra passato, presente e futuro. Forse avrebbe dovuto vivere il momento presente come un autentico Tempus clausum per promuovere la riscoperta della virtu’ di un “frattanto” come occasione di sospendere il tempo senza abolire l’avvenire. Questa grande prospettiva umana e spirituale si ravvisa costantemente nello straordinario umanesimo di Papa Francesco. Prospettiva che andrebbe costruita in periferia, nelle chiese locali, nelle parrocchie ancora aperte, nei luoghi dove la solidarietà si tocca con mano. ”Frattanto” come via d’uscita per tanti credenti, necessariamente ristretti in casa, alla vigilia di un Natale particolarissimo che ci costringe, dobbiamo ammetterlo con molta umiltà, ad una riflessione seria, non occasionale, per il mondo-avvenire. Sono sommessamente convinto, grazie ad un travaglio lunghissimo ed impegnativo, che l’approdo a questa via d’uscita- ripeto approdo non di circostanza- è configurato in una parola tratta dagli Atti degli Apostoli: è la “metanoia eis Zoè”, la “conversione alla Vita”. Conversione in vista della Vita o per la Vita: credo che qui avvertiamo la forza vitale delle risorse immense del cristianesimo che ci consente di vivere anche la eccezionale drammaticità del momento presente. Questa forza vitale ci consentirà di dare un senso profondo al tempo che stiamo vivendo, proprio-come ho tentato di dire-coniugando il presente con il passato e con il futuro. Credo sia proprio questo il senso di marcia esistenziale e spirituale che dovrà animare l’imminente Natale, consentendo a tutti gli uomini pensanti, di buona volontà, di riprogettare il proprio itinerario vitale, possibilmente insieme agli altri che non hanno ancora maturato il necessario discernimento spirituale. Tutte le doglianze, le perplessità le critiche anche fondate di questi giorni ci faranno solo brancolare nel buio di un tunnel che necessariamente ci condurrà alla tanto attesa luce come ci ricorda il Natale che ci attende.
di Gerardo Salvatore