Diario da una zona di guerra

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Qui, in Lombardia, dove sono stato bloccato dal coronavirus, viviamo in zona di guerra. Una guerra di trincea (le nostre case) contro un nemico invisibile e subdolo che può annidarsi dappertutto, perfino negli amici e in chi ci vuole bene. Dal 21 di febbraio, da quando fu scoperto, con qualche giorno di ritardo, il primo caso di Corona-virus nella non lontana Codogno, viviamo asserragliati in casa (coloro che possono!), senza mettere il naso fuori e con il blocco totale di ogni movimento, perfino dei controlli medici. La spesa ce la portano in casa lasciandola fuori a porta. Da una settimana, poi, la segregazione è completa: i figli non ci portano più i bambini, che ci davano da fare e riempivano le nostre giornate di ozio forzato; si tengono lontani e si fanno sentire solo per telefono. La speranza è che tutto finisca al più presto per riprendere la vita normale che, ci auguriamo, non sia più quella di prima. Intanto, tra la lettura dei giornali on line, dei libri e dei cruciverba che mi fornisce mia figlia lasciandoli davanti alla porta, passiamo il tempo anche a riflettere, non sempre, a guardare la televisione.

No so cosa sarebbe successo se il virus si fosse diffuso al Sud, dove gli ospedali sono stati colpevolmente ridimensionati per posti letto e sono carenti di sale di rianimazione e di macchinari e, soprattutto, di medici ed infermieri. I pronti soccorsi sono una frana e tutta la Sanità non brilla per efficienza e funzionalità. Il governatore della Campania invoca l’esercito perché non riesce a mettere sotto controllo i molti che fuggono dalla Lombardia per paura credendo di andare a stare meglio nelle loro zone di origini. Si vanta di essere un decisionista ed è stato Commissario responsabile per la Sanità per tutto il suo mandato. Emiliano, il suo omologo della Puglia non fa di meno. Qui in Lombardia, come nel Veneto e nella vicina Emilia Romagna il sistema sanitario, che poi tanto perfetto non è, sta reggendo per l’impegno, in molti casi eroico, degli operatori sanitari, soprattutto medici e infermieri. I governatori, gli assessori, i Sindaci (pur con delle iniziali sottovalutazioni –vedi Sala sindaco di Milano e Gori di Bergamo), stanno facendo uno sforzo enorme per coordinare le esigenze dei cittadini e assicurare la maggiore sicurezza possibile.

Nel lodigiano e a Codogno, dove sono state adottate misure molto rigorose, con interi paesi blindati, il contagio, pare, stia calando. Sta crescendo, invece, nel bergamasco, nel cremonese e nel bresciano. Si teme anche per Milano che, come mai nella sua storia, è una città assolutamente deserta. Come spesso succede nelle disgrazie collettive (vedi terremoto in Irpinia!) si sta scoprendo un’altra Italia, quella bella della gente che esce sui balconi per cantare l’inno nazionale e suonare le canzoni popolari, rinnovando la vita del vicolo; quella che espone lumini e striscioni incoraggianti, solidale e fiduciosa; quella dei medici, degli infermieri, delle forze dell’ordine, di coloro che sono costretti a lavorare e lo fanno con abnegazione ed impegno. Quest’Italia ci inorgoglisce e ci fa sperare in una sicura vittoria e dimenticare, con un sentimento di sfiducia se non disprezzo, quella di una certa classe politica (fortunatamente non tutta!) di fanfaroni, irresponsabili che parlano a vanvera e criticano tutto ciò che fa il governo senza offrire una collaborazione disinteressata e costruttiva. La televisione, come fortunatamente comincia a fare, non dovrebbe dare voce a tutti quelli, politici o non, che si dicono esperti ma ci riempiono di luoghi comuni e, a volte, di vere e proprie idiozie.

La crisi sarà lunga e difficile e ci costerà ancora vittime ed un calo dell’attività produttività senza precedenti, paragonabile, forse, a quella del ’29. L’Italia, quella di Caporetto -anche con l’aiuto dell’Europa che una buona volta, dovrà dare inizio ad una politica comune di ripresa e a un diverso modello di sviluppo che abbia al centro, non più in posizione marginale, il lavoratore, e un nuovo stile di vita e di utilizzazione delle risorse naturali, troverà una nuova Vittorio Veneto.

di Nino Lanzetta