Gli antichi e il rapporto con il presente nel nuovo numero di Humanitas Nova

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E’ l’editoriale di Michele Campisi sulla rilettura dell’Antichità al tempo del Contemporaneo ad aprire il nuovo numero di Humanitas Nova, diretta da Romualdo Marandino ed edita da Delta 3.  Non ha dubbi Campisi: “Possiamo dunque asserire che una buona Valorizzazione delle cose antiche non ha bisogno dell’aggiunta di alcun altro valore e di valori inappropriati. L’unica cosa che dobbiamo valorizzare è la “conoscenza” nelle sue forme e negli strumenti di una corretta e non fuorviante diffusione al fine di costruire una Coscienza di Cultura partecipata dalla Comunità”. Il rischio, ricorda Campisi, è quello di trovarsi di fronte “a un bello troppo spesso ridotto all’effimero del consumo”. Di qui la consapevolezza che “è la coscienza di una humanitas (civiltà) del paesaggio dove l’uomo si presenta come identità etica che può salvarci dal raggiro di una effimera felicità, smascherando l’impostura che ci hanno confezionato i sacerdoti invisibili di questo attuale dispositivo”. Campisi fa riferimento ad alcune mostre dedicate all’antico che finiscono con lo snaturare l’idea dell’antichità. Un esempio è offerto dalla mostra romana “Vita Dulcis. Paura e desiderio nell’antica Roma”, in cui l’universo latinp è narrato coi mezzi del cinema, lasciato sulle scene madri dei vecchi film felliniani della Dolce Vita, Cabiria o del Gladiatore. Campisi si interroga sul perchè “ancora una volta per definirsi nella sua inesistente dimensione del Contemporaneo l’Arte ha bisogno di utilizzare il veicolo dell’Antichità: una bieca strumentalizzazione che continuamente si rincorre nei molti tentativi di una dissociazione inchiodata alla irraggiungibilità del Sublime”. Per concludere che “il senso e l’etichetta di “classicità” come riferimento, identità ed emozionalità è finito. L’Antichità non è se non in quella dimensione della costruzione commerciale delle reti/circuito di viaggio che hanno soppiantato il confronto irriverente del post-moderno…. L’epoca della impostura, del “Il post-postmoderno” è un sentimento esistenziale ed è tale perché è un modo diverso di guardare ed esserne realtà, che non ha come prospettiva la ricerca della Parresia. I significati sono irrilevanti come i contenuti morali”. Il risultato è una chiara crisi della cultura che non può essere separata dalla crisi della socialità, alla distanza sempre maggiore tra immaginario condiviso e vita sociale con un sapere sempre più frammentato e poche speranze di un nuovo umanesimo

Roberto Spataro dimostra invece come “Tibullo fu un cantore tutt’altro che ingenuo della pace e un poeta disimpegnato, alla maniera ellenistica, che faceva dell’ars pour l’ars: non solo il contesto storico rendeva urgente meditare su guerra e pace ma anche il retroterra filosofico e la visione etica che ispirano il poeta rendono i suoi versi un sincero e approfondito elogio della pace, espresso nel suo inconfondibile stile leggero e delicato”

Enrico dal Cavolo ci ricorda come lo studio dei Padri della Chiesa possa essere garanzia di unione, sotto il piano culturale e spirituale, in un’Europa, da tempo ostaggio della cultura della globalizzazione. Prezioso anche l’excursus sulla metereologia nella Grecia antica di Daniela Leuzzi e nella letteratura latina di Andrea Del Ponte. Del Ponte chiarisce come “Le necessità di marinai, agricoltori e medici, categorie che con il tempo atmosferico lavorano da sempre, resero necessario un sapere meteorologico pratico, trasmesso per lo più in forma orale e in grado di orientare le loro scelte e azioni. Di questa cultura legata al territorio e all’osservazione paziente dei fenomeni atmosferici abbiamo una meravigliosa permanenza in forma poetica nelle Georgiche di Virgilio”.  Così Nel I libro delle Georgiche sono descritti i singoli fenomeni atmosferici sempre dall’ottica dei contadini, il cui lavoro dipende strettamente dai capricci del tempo. Si verificavano anche allora le “bombe
d’acqua”, chiamate” immensum agmen aquarum”, che portano inondazioni e
devastazioni. La grandine, perniciosa per le coltivazioni e in particolare
per i vigneti, era chiamata “horrida grando”. Romualdo Marandino si sofferma, invece, sull’importanza di leggere i classici e soprattutto sul modo con cui andrebbero letti e interpretati per fare in modo che, con sempre maggior forza e novità, possano parlare all’uomo di oggi, immerso in un contesto di generalizzata decadenza. “Sarebbe allora davvero affascinante e calvinianamente creativo – spiega – trasformare un classico antico in un’esplorazione autonoma e collettiva insieme, in cui le verità esegetiche, individuali e collettive, siano molteplici e, in quanto confrontabili, tutte verisimili, in quanto scaturite
da un approccio autentico, sincero, non pilotato, di un mondo lontano da noi eppure tanto vicino, anzi, per certi versi, un mondo futuro”. Ad arricchire il numero i contributi di Myriam Filomena Bernadette Cicala, Maria Lavinia Piccioni, Serena Emilia Di Salvatore, Francesca Altieri, Gerardo Iuliano, Roberto Carfagni, Antonella Marandino, Lucia Arsì, Rainer Wessengruber con interviste all’artista Pietra Barrasso, Mauro Mantovani, prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana e Luigi Famiglietti, ex direttore del Ministero dei beni culturali