I diritti e il popolo della sinistra

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Nel pieno dei giorni di Tangentopoli quando la Prima Repubblica stava crollando sotto il peso delle inchieste dei giudici del pool Mani Pulite, ad uno dei protagonisti di quella stagione che si stava chiudendo, alcuni cronisti chiesero all’allora segretario della DC Arnaldo Forlani cosa poteva accadere e quale futuro intravedeva. Forlani rispose usando ironia e cultura e si rifece ad un celebre verso del poeta Eugenio Montale: “solo una cosa possiam, dire, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.  La situazione a distanza di ventisette anni è oggi più o meno analoga. Le identità si sono perse e come dice Marco Follini che della Democrazia Cristiana ha fatto parte adesso non sappiamo più chi siamo letteralmente. E dunque per definirci abbiamo bisogno di affidarci a un leader a cui sacrificare tutto il nostro incenso, oppure di sceglierci un nemico contro cui rivolgere tutti insieme la nostra indignazione, oppure ancora di cercare una compagnia così larga e ampia che ci risparmi ogni dilemma esistenziale. E quello che hanno fatto gli italiani lo scorso quattro marzo. I protagonisti sono un leader che ha messo al centro le paure come Matteo Salvini e il movimento cinque stelle che rappresenta un mondo vario che contiene il realismo politico di Di Maio insieme alle spinte ambientaliste e di sinistra rappresentate da Di Battista e dal Presidente della Camera Fico. Risultato un governo, dove come in una piramide rovesciata, comanda il socio di minoranza leghista rispetto a quello di maggioranza. Salvini appare più forte perché ha idee più definite e semplici. Il no ai migranti, all’Europa dei burocrati, ai magistrati che non possono indagarlo perché ha il favore popolare e i sì alle infrastrutture per dimostrare che la Lega ha un radicamento sul territorio. La distanza con i cinque stelle si sta allargando e quando la corda si tira troppo rischia di spezzarsi senza contare che alle prossime regionali sia in Abruzzo il 10 febbraio che in Sardegna il 24 la Lega come sempre alle amministrative è alleata del centrodestra e compete con i Cinque Stelle. In questo quadro già frammentato si inserisce il voto al Senato su Salvini sul caso Diciotti e l’incapacità di esprimere una linea univoca sulla Tav. E allora è chiaro che la questione migranti e come viene declinata nasconde un vuoto di proposte, di idee e si traduce sostanzialmente in uno scontro politico da perenne campagna elettorale. Una sorta di teatro permanente in cui nessuno degli attori punta ad una soluzione ma solo a un dividendo in vista delle europee di fine maggio.  Ma se la maggioranza è divisa, l’opposizione non vede ancora nessuna luce in fondo al tunnel. Il PD che tra un mese terrà le primarie è ancora alla ricerca di una identità perduta se mai l’ha avuta. Come ha rilevato Massimo Giannini ad un Salvini perfettamente a suo agio in un tempo dominato dalla paura dei popoli si contrappone una sinistra che si contorce e “portata ad errori che oggi l’hanno confinata dov’è. In un non luogo della politica che si chiama opposizione, ma che non ha chance per offrirsi come alternativa di governo. Ed è un peccato. Di più: è un delitto politico. Perché nonostante le sue disfatte e le sue lotte fratricide, i suoi deficit progettuali e i suoi vuoti identitari, la sinistra italiana un popolo ce l’avrebbe sul serio. Molto più esteso e coeso di quanto non dicano i sondaggi. Un miracolo incredibile, in questa stagione critica per i diritti e per la democrazia. Se solo qualcuno, a parte Papa Francesco, sapesse indicare a quel popolo una via e una speranza”.

edito dal Quotidiano del Sud