Il conte Tacchia e il marchese Del Grillo 

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Che la politica fosse un teatrino è cosa risaputa fin dai tempi di Aristofane e di Plauto di cui ci hanno lasciato le satire più esilaranti.
Mai però, come oggi, con il governo “giallo- verde”- più giallo di misteri che verde di speranze avremmo potuto pensare di trovarci in una realtà al di sopra di ogni immaginazione. Una volta le maggioranze di governo, composte da forze contrapposte ma con un comune programma, dal giorno dopo il voto di fiducia non pensavano che alla sua realizzazione. Certo non furono sempre rose e fiori. Nel momento però in cui si imbattevano in incomprensioni o ostacoli irrisolvibili, si apriva subito una crisi, che il presidente del Consiglio se non riusciva a ricomporre, lasciava farlo ad altri, dando l’opportunità di riprendere un nuovo cammino. Quello fu il tempo della vera democrazia, imperfetta ma democrazia, fondata sul confronto delle idee e delle progettualità non su come evitarlo per bassi calcoli di “cambusa”. Che consentì, anche se tra molteplici difficoltà, decisive conquiste: di sconfiggere il terrorismo, diventare e restare uno dei paesi più industrializzati da indiscussa sovranità. Che cosa è accaduto poi? Con l’avvento di un fondamentalismo giudiziario, cui ha fatto da degno “pendant” quello parapolitico , si è avuta la “demolizione- demonizzazione” dei partiti tradizionali, e poi, alla distanza un populismo, prima giustizialista, “lancia monetine” e poi “torna – contista”. Cui però, a differenza di un passato inquisitorio alla Thomas Torquemada , si è guardato invece con magnanimità come se ci si trovasse in un’ aria nuova e pura, tralasciando di approfondirne invece i tanti, inquietanti “buchi neri” nella trasparenza dei poteri decisionali e anche di taluni misteri sulla scomparsa di fondi governativi, rimasti tali e giudicati come fredda “materia da rateizzare”. Ora però è il colmo. Siamo di fronte a qualcosa di molto più grave anche per il silenzio tombale di chi dovrebbe non più limitarsi a vigilare ma a fare chiarezza ad “horas” di una crisi profonda . L’Italia è l’unico Paese dell’Eurozona che non cresce e si segnala per la mortificazione delle Camere, dei luoghi della massima democrazia rappresentativa. C’è un premier cinico, buono solo a mettere “zeppe” pur di non decidere e rimanere a galla, da meritarsi il titolo di “Conte Tacchia”, parodia di quell’artigiano romano ottocentesco, assurto a fasti gentilizi nella corte papalina per l’abilità unica di riparare la mobilia del Vaticano con le “tacchie”. E, oltre, abbiamo uno dei vice premier, Salvini, che, dopo aver tradito, sì tradito, il popolo del centrodestra che lo aveva votato come leader e aspirante premier, ha ancora l’ardire di rivendicare una totale investitura popolare con lo strafottente piglio da marchese del Grillo: “Io so’ io e voi non siete un.. c…!”. E’ tempo che il centrodestra, quello dell’area tradizionale centrista, da sempre refrattaria a un “sovranismo anacronistico”, dia il benservito a “Matteo double face”. Provi a rileggere lo statuto fondativo di Forza Italia del 1994, che pone come riferimenti ineludibili De Gasperi, Einaudi, Saragat e la Malfa: quale spinta c’è più nobile di questa per farlo da subito? L’odierno governo ha solo un chiodo fisso : le postazioni da occupare. A confermarlo sono la recitazione quotidiana, fatta di sortite, battute, messaggini, sguaiate risate e il commissariamento di tutto ciò che può essere rastrellato, permettendo a chi sta al potere di ampliare la “tastiera del comando” nelle stanze dei bottoni. Fino a quando durerà ? Di certo c’è che appena tutto questo finirà- più prima che dopo- solo la misericordia del Signore, per chi crede, potrà perdonare le conseguenze di una “disastrosa eclisse” della democrazia.

di Aldo De Francesco