Il governo Draghi e le riforme

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Le ragioni della nascita del governo Draghi sono sostanzialmente due. La prima è l’impossibilità, riscontrata in Parlamento, di mettere insieme –dopo la defezione di Renzi- una maggioranza politica che assicurasse a Conte di andare avanti. La seconda, la volontà del Presidente della Repubblica di non sciogliere le Camere per andare a nuove elezioni durante una gravissima emergenza sanitaria ed economica che avrebbe messo definitivamente in ginocchio il Paese.

La soluzione di affidare a Draghi, figura autorevolissima e stimata in Europa e nel mondo, l’incarico di formare un nuovo Governo politico di salvezza nazionale, di alto profilo per competenze e capacità (su 23 ministri solo 8 tecnici) fuori dalla logica e dalle alleanze dei partiti che avrebbero dovuto appoggiarlo, “sic et simpliciter”, non intralciando la sua azione di governo e facendo prevalere l’interesse generale a quello particolare non si sta rilevando una buona scelta.

La Lega si è buttata a capofitto per entrare nell’Esecutivo, spinta dei vari Giorgetti e Zaia, per sfruttare la situazione di potere improvvisamente offerta, abbandonando in meno di 24 ore il sovranismo e abbracciando – a parole  – l’europeismo. Salvini ha dismesso le felpe ma continua a fare propaganda e a prepararsi alle nuove elezioni che probabilmente ci saranno dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica che presumibilmente potrà essere lo stesso Draghi. Berlusconi è immediatamente tornato dalla Francia, dove si era rifugiato per sfuggire al Covid e ai processi, ed ha piazzato i suoi uomini a difesa degli interessi delle sua aziende e suoi personali. Il suo avvocato, Sisto, alla Giustizia e Moles all’editoria non hanno bisogno di commenti.

Mentre il centro destra si è rafforzato, condizionando dall’interno Draghi e mantenendosi le mani libere all’esterno con Salvini oppositore e governista insieme, con la Meloni che cresce nei sondaggi, con Forza Italia che rientra in gioco, il centro sinistra ne esce con le ossa rotte. Il M5S è imploso e molti senatori e deputati hanno votato contro e sono usciti dal movimento che Grillo vorrebbe affidare a Conte sperando di salvarlo. Leu si è diviso perché Fratoianni e i suoi hanno votato contro. Il PD ha perduto la funzione equilibratrice che aveva nel precedente governo; è stato penalizzato nella compagine di governo ed è in preda alle contraddizioni delle sue numerose anime. Renzi, che non ha agito da solo, ha vinto la battaglia di Pirro perché con Draghi conta come il due di briscola, il suo partitino non cresce e lui stesso è in fondo alla classifica dei consensi.

Il Governo non sembra, poi, così forte come l’amplissima maggioranza farebbe credere perché – come sostiene Zagrebelsky in una intervista al Fatto quotidiano: “La forza di un governo dipende dalla sua coesione” e se i partiti entrano per acquisire potere e consenso il Governo nasce tarlato dall’inizio. E il Governo Draghi non sembra per nulla coeso se i partiti che lo compongono continuano a polemizzare fra loro anche sull’emergenza pandemia e a fare campagna elettorale.  I nodi verranno al pettine quando si dovrà mettere mano alle riforme dove le divergenze tra i partiti sono incolmabili. Ma, anche se nessun sviluppo sarà possibile senza riforme radicali e profonde, se ne parlerà nel prossimo Governo, quello che succederà a Draghi dopo la sua ascesa al Quirinale. Per ora sarà sufficiente uscire dalla pandemia velocizzando al massimo la vaccinazione e presentare in Europa un credibile piano di sviluppo.

di Nino Lanzetta