Il governo e il nodo prescrizione

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Il nodo della prescrizione è venuto al pettine subito. I DEM e Italia Viva vogliono che sia modificata, sospendendola fino a tre anni e tre mesi e riprendendola se il processo non si è concluso. Il M5S ne fa una questione di bandiera e non vuole rimetterla in discussione. Il premier Conte ha sottoposto ai contendenti una sua proposta ( a rischio di incostituzionalità): distinguere tra i condannati e gli assolti in 1° grado. Ai condannati si applicherebbe l’abolizione mentre agli assolti si applicherebbe una prescrizione processuale così come previsto dalla legge Orlando.  Non si è raggiunto un accordo perché Renzi si oppone. Questi termini della questione che a volte ha del surreale perché i protagonisti politici non hanno appieno il senso della complessità della materia e delle vere cause che rallentano i processi e non sanno opporre rimedi efficaci, magari facendosi aiutare da una Commissione di tecnici.

Secondo molti esperti e studiosi del diritto non è la prescrizione che rallenta i processi. In America la prescrizione non esiste ed in Europa esiste solo in Grecia e i processi hanno tempi ragionevolmente brevi. Quindi bloccare la prescrizione non basta. Secondo il giudice Davigo in Italia i processi durano troppo perché sono troppi. Se ne dovrebbero fare molti di meno, depenalizzando alcuni reati minori da risolvere in via amministrativa; creando filtri per bloccare la dilatazione dei tempi. L’appello non si dovrebbe proporre senza una valutazione di un giudice. Bisognerebbe abolire la reformatio in peius prevedendo la possibilità di aumentare la pena in appello; aumentare i patteggiamenti e concludere con essi il processo, senza proclamarsi innocenti e poter ricorrere in Cassazione; inserire l’oltraggio alla Corte quando si agisce per perdere tempo e continuare i processi anche in assenza (per malattia, trasferimento, pensione) di un giudice; migliorare le notifiche, modificare il gratuito patrocinio ed altri rimedi di buon senso. Ma non è detto che anche con queste modifiche la lunghezza del processo penale si risolva senza una sua radicale trasformazione perché le cause sono ben più profonde e complesse e la politica ne ha grande colpa.

Filippo Sgubbi, insegnante di Diritto penale in varie Università, ha recentemente scritto un interessante volumetto edito dal Mulino: “IL DIRITTO PENALE TOTALE”” che il ministro Bonafede e molti altri parlamentari, che parlano di Giustizia in maniera estemporanea e con slogan, dovrebbe leggere. In questo volumetto Sgubbi lancia un’accusa precisa: in Italia il processo è tutto politico non perché il giudice è politicizzato ma perché si assume una funzione politica sostituendo i politici e il Governo che sono assenti e dove il Parlamento ha un ruolo irrilevante. In più il circo mediatico è una fogna all’interno della quale si viene puniti in disprezzo della legge, della verità e della colpa. Il diritto penale si è totalizzato e presenta risvolti processuali. Il processo dovrebbe volgere all’accertamento di un fatto precedentemente accaduto e ricercare le prove della notitia criminis“. “Invece (…) è volto non ad accertare un fatto storico da ricondurre ad una norma bensì a creare il FATTO REATO. E’ l’accusa che costruisce la colpa non viceversa. Ricerca i fatti, avvia i processi e poi cerca le prove. E’ un processo penale creativo che si pone altri obbiettivi di amministrazione” “L’iscrizione della responsabilità diventa così un processo tutto politico, così come esclusivamente politica è la fonte assertiva della responsabilità stessa”. E ancora: “Anche la norma penale perde i connotati tradizionali di assolutezza e inderogabilità per assumere un carattere relativo. … In Italia il diritto penale è diventato la nuova etica pubblica. E’ l’etica che forza il perimetro della materia penale.” La politica non decide. “L’incapacità decisionale della Politica è supplita dalla Magistratura.” In questo contesto “Le norme penali, così, assumono un ruolo inedito. Sono fattori non di punizione ma di governo. L’apparato penale diventa il supporto per decisioni di governo economico-sociali. E’ una distorsione istituzionale. “La fattispecie astratta non è più il parametro normativo che sta alla base del processo di accertamento giudiziale, imperniato sul confronto sillogistico fatto/norma: costituisce invece il fondamento per un processo decisionale di amministrazione e di governo”. Come si vede la questione è complessa e di non facile soluzione e occorrerebbero anni per ripristinare un accettabile diritto liberale. Altro che slogan ed estemporaneità da Bar Sport!

di Nino Lanzetta