Il partito democratico di Zingaretti

0
1286

Nelle primarie del 3 marzo il PD ha ritrovato, se non in tutto, almeno una parte del suo elettorato: lo zoccolo duro. Il milione e seicentomila persone, che hanno fatto la fila ai gazebo per votare, hanno detto che sono ancora disponibili a dare fiducia al partito perché possa ritrovare i valori tradizionali. Con il plebiscito tributato a favore di Zingaretti hanno mandato un ultimo avvertimento al futuro segretario e posto fine definitivamente alla gestione Renzi condannandolo a tornare nel gruppo. Basta col passato, basta con un uomo solo al comando, basta con le correnti e le liti interne! Personaggi come Martina – che ha fatto passare un anno per la celebrazione di un congresso che si sarebbe dovuto fare nell’autunno scorso- e Giacchetti che rappresenta il renzismo – ancora forte nel partito e che si è astenuto, con 86 delegati, all’elezioni di Gentiloni a Presidente e, con 83, a Zanda tesoriere dichiarandosi minoranza organizzata -sono stati invitati a farsi da parte e a favorire un ricambio radicale ed un profondo rinnovamento. Il nuovo segretario nel discorso di investitura ha rivendicato i valori e gli obbiettivi di un nuovo PD, pluralista, aperto, profondamente cambiato nella struttura, che metta al centro la persona umana e ritrovi i valori tradizionali del socialismo e del riformismo cattolico e liberale, che sappia riconoscere i propri errori pur senza abiurare al passato e sia presupposto del cambiamento a cominciare prima da noi stessi.

Renzi avrà capito la lezione? E’ disposto a farsi da parte e a non coltivare impossibili rivincite e non pretendere di dettare la linea del partito come ha fatto finora? Stante il personaggio non c’è da giurarci. Gli errori che ha fatto, al partito ed al governo, sono stati numerosi e clamorosi con l’aggravante che non se ne vuol rendere conto. Ha imposto la peggiore legge elettorale che si potesse fare, nella illusoria considerazione che avrebbe favorito la sua leadership perché riteneva stabile il 40% ottenuto alle scorse europee; ha proposto una pessima riforma costituzionale, fatta sempre con le stesse motivazioni; ha gestito in modo pessimo la questione migranti;  ha personalizzato la politica nell’imitazione del populismo berlusconiano; ha rottamato gli avversari politici facendogli il vuoto intorno (li abbiano “spianati”!) e costringendoli ad uscire dal partito; ha disprezzato i sindacati e ha corteggiato Marchionne ed gli altri poteri forti; ha abbandonato progressivamente  molti diritti dei lavoratori; ha mostrato scarsa attenzione verso la povertà ed le paure delle periferie. In quattro anni di continue sconfitte- il consenso è sceso al punto più basso della curva. Il guaio è che non accetta la sua débâcle che ha coinvolto anche il partito: ha messo il veto ad un possibile dialogo con i 5 Stelle in occasione della formazione del governo e, recentemente si è vantato di averne causato l’implosione, ed il crollo dei consensi, sottacendo il raddoppio dei conensi della Lega, sovranista, xenofoba, antieuropeista, ben più pericolosa del movimento di Di Maio.

Il partito deve voltare decisamente pagina, come ha detto il nuovo segretario, (con dentro o fuori Renzi che non partecipa alle riunioni ufficiali ed ieri era assente nell’assemblea nazionale) accreditando l’ipotesi di una possibile uscita dal partito. Si deve profondamente rinnovare nella Segretaria mettendovi dentro uomini nuovi senza lottizzazione.  I capi gruppo di Camera e Senato dovrebbero rimettere il loro mandato e sottoporsi ad una nuova investitura. Ma il rinnovamento radicale del partito, nei vertici e negli organi dirigenti non può non comportare un profondo cambiamento della linea politica già dalle prossime elezioni europee con una lista aperta ed inclusiva nelle quali il messaggio che deve passare con forza e un’Europa dell’integrazione non solo economica. Non quella che propongono i sovranisti alla Orban di Salvini e di La Pen, con i Parlamenti sovrani, una politica estera, di difesa, interna ed economica, che toglie poteri alla Commissione ed al Parlamento, ma di un’Europa sul tipo della federazione degli Stati Uniti. Maggiore Europa e politica comune. In politica interna – ha rivendicato Zingaretti – bisognerà riscoprire i diritti via via abbandonati; la dignità delle persone; una più equa distribuzione della ricchezza (altro che tassa uguale per tutti!); lotta alla povertà; maggiori investimenti, lotta all’evasione fiscale.

Ma non è ancora sufficiente! Il PD deve ritrovare il suo popolo con una politica di inclusione prestando più attenzione del ceto medio, della società civile, del terzo settore, del volontariato. Bisogna ritrovare il mondo della cultura e l’interesse dei giovani che restano i grandi assenti della vita politica del Paese e sono costretti ad emigrare. Infine bisogna ricercare una politica di alleanze. Il partito, anche se a vocazione maggioritaria, non può pensare di unificare, anche se in modi nuovi ed originali, il popolo della sinistra e non fermarsi a prospettare nuove elezioni anticipate in tempi brevi perché, anche se dovesse avere un consenso insperato, non avrebbe mai da solo i numeri per governare senza alleanze, anche perché le possibilità di vittoria di una destra a guida Salvini (con Berlusconi a salvaguardia dei suoi interessi aziendali!) non sono da prendere sotto gamba. Importante, nel breve medio termine, è lavorare perché il governo giallo verde, duri il meno possibile, per evitare danni maggiori al Paese. Bisognerebbe lavorare per far emergere ancora di più le contraddizioni e le differenze tra i due anomali alleati e per scardinare il patto di potere che sta portando l’Italia nel baratro, magari inventandosi una soluzione provvisoria: Governo del Presidente, di Salute pubblica, di garanzia costituzionale …) che serva, in attesa di una decantazione politica, a non far precipitare l’economia. Bisogna ritrovare il senso della politica finendola, una buona volta per tutte, di parlare sola alla pancia della gente e di stare in continua campagna elettorale. E’ una sfida nella quale si misurerà il futuro del PD derenziato ed anche quello dell’Italia.

di  Nino Lanzetta