Il pericolo di troppe divisioni

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Lo scontro tra molti sindaci – quelli delle grandi città come Napoli e Palermo, oltre quelli di comunità di più modeste dimensioni – e il decreto sicurezza di Salvini e la battaglia delle regioni ricche del nord per l’autonomia, caratterizzano il quadro politico italiano, all’inizio del 2019. All’interno di questo orizzonte non certo sereno emerge la positività del boom di firme per l’educazione alla cittadinanza a sostegno della relativa proposta di legge presentata lo scorso giugno in Cassazione. Non è poco per tanti italiani che credono ancora fermamente nei valori di fondo della Costituzione e del personalismo cristiano. Frattanto l’appello del Cardinale Bassetti rivolto ai cattolici per fare rete nell’impegno sociopolitico ha registrato riscontri significativi non solo nel laicato cattolico associato, ma anche nel tradizionale mondo politico. All’interno di quest’ultimo, recentemente l’ex segretario dell’UDC, Marco Follini, è stato chiaro nell’affermare che “serve una nuova iniziativa di cattolici democratici. Seminare oggi per raccogliere dopodomani. Questa è una voce ancora preziosa per l’Italia”. A fronte di tale prospettiva, però, c’è chi rileva che spesso, con l’intento di unire, sono nate ulteriori divisioni: l’esperienza di Todi uno e Todi due ce lo insegnano. Secondo Follini bisogna partire dai corpi intermedi attualmente presenti in maniera frammentata, senza una fondamentale convergenza programmatica, capace di riempire il vuoto deleterio di una politica senza fondamenti valoriali per vincere gli egoismi di parte, superare la completa opacizzazione delle ideologie del secolo scorso, convergere sulla urgente necessità di delineare un credibile programma di costruzione del bene comune. Bene comune che intersechi le esigenze del lavoro dignitoso per tutti, che colmi l’abissale divario, tra ricchi e poveri, che promuova gli urgenti rimedi socioeconomici per la tutela di una ecologia globale aggredita quotidianamente dagli scellerati comportamenti del capitalismo globalizzato e dai microattentati individuali e collettivi, persino all’interno della nostra piccola dimensione ecologica provinciale. Quindi una diffusa iniziativa formativa, prepolitica, nei contesti territoriali dove il connettivo valoriale delle comunità può essere riscoperto, riproposto in termini di partecipazione attiva e responsabile per non cancellare storie ed identità non ancora spente nell’animo delle generazioni anziane, ansiose di promuovere una feconda osmosi intergenerazionale non in termini nostalgici o autoreferenziali, ma proiettata verso una vera prospettiva di rinascita civile e sociale che vede le giovani generazioni al centro di una nuova stagione di impegno e di partecipazione. Si tratta, secondo Follini, di “un gigantesco salto generazionale”. Ormai a cento anni dall’appello “Ai liberi e forti” di Sturzo, serve “un inedito”, serve affidarsi ai giovani, alle donne, volontari che si affacciano, o che si preparano ad affacciarsi, sulla scena politica. Salto generazionale, ci permettiamo di aggiungere, che non può rivelarsi un salto nel buio a causa della poca esperienza sulle frontiere delle tante e sempre più numerose emergenze sociali quotidiane. La sofferta, generosa e sapiente azione di accompagnamento complessiva delle generazioni anziane costituisce una preziosa risorsa sociale da non “rottamare” frettolosamente, ma da utilizzare nei modi e nei tempi ritenuti più razionali e producenti in ordine all’auspicato rinnovamento di contenuti, prospettive e metodi della politica, certamente lontani dall’attuale deriva “sovranista” e demagogica che ha scelto “l’antipolitica” come la ricetta più efficace per parlare alla “pancia” degli italiani. In realtà, tutti dovremmo sapere – e ai nostri giovani disorientati dovremmo raccontarlo – che la nostra storia italiana, in tutti i campi della arti, delle scienze e della politica, configura un nostro profilo complessivo come comunità nazionale – certamente con la pancia – ma prioritariamente con una dimensione interiore, opacizzata si, ma non del tutto perduta nell’attuale tormentato periodo storico postmoderno.

di Gerardo Salvatore