Il rebus del voto in Italia

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Al voto, al voto gridano i politici di casa nostra che la cronaca di questi giorni mette particolarmente in risalto contribuendo a creare una situazione che, in certo senso, ha del surreale. Tutti i leader– con la sola eccezione di Berlusconi vogliono andare ad elezioni subito, anche con le leggi elettorali uscite dalla consulta, magari estendendo il premio di maggioranza (calcolato a livello nazionale) anche al senato, non si capisce come, avvenendo l’elezione dei senatori a livello regionale. Qualche riflessione è d’obbligo. La prima: che la politica non è stata in grado, né lo appare oggi, di darci una legge elettorale conforme alla Costituzione. Invece di fare una legge che riesca a coniugare i due concetti della rappresentanza e della governabilità, si guarda al proprio tornaconto, sperando, ognuno, di lucrare i maggiori benefici possibili dalla consultazione elettorale, sul presupposto, fasullo, che il popolo si è espresso per il voto subito e che non si può tenere in vita un altro governo non eletto da esso. La seconda: che “è gravissimo che la magistratura detti tempi e modi all’Amministrazione” lo dice mons. Galantino senza che la politica si senta sputtanata La terza: che le elezioni con le leggi elettorali, riscritte dalla Consulta, costituiscono un azzardo per una democrazia ancora debole come la nostra. Secondo tutti i sondaggi nessun partito e nessuna coalizione riuscirebbe a raggiungere il 40% per aggiudicarsi il premio di maggioranza, peraltro distorsivo della volontà popolare. Il grado di irresponsabilità dei partiti è altissimo e il divario con la gente aumenta. I nostri politici non se ne accorgono e marciano spediti verso un futuro di instabilità che potrebbe preludere ad una nuova Weimar. Grillo, Salvini e la Meloni non hanno nulla da perdere ed un eventuale rischio per la democrazia non viene neanche preso in considerazione perché da tempo caldeggiano il peggio ed un governo lepenista, che esca dall’euro e dall’Europa, inneggiano a Trump e vogliono erigere muri per bloccare l’immigrazione. Per loro, in sostanza, val bene qualsiasi legge purché si vada a votare. Berlusconi al quale la legge elettorale piace, temporeggia solo per aver tempo di riorganizzare il suo partito ed aspettare una sentenza favorevole della Corte Europea che gli permetterebbe di candidarsi. Alfano è d’accordo con chi garantisce a sé ed al suo gruppo un’elezione sicura. Quelli a sinistra del PD – con l’eccezione di Fassina- non vogliono elezioni subito e pensano che il tempo possa favorire la creazione di un grande rassemblement che raccolga anche la sinistra dem e che possa intercettare molti di quelli che hanno smesso di votare PD. La sinistra dem chiede l’anticipazione del congresso perché nel partito avvenga una analisi seria ed approfondita del perché alcuni milioni di elettori di sinistra hanno smesso di votare PD e che tipo di partito ha ancora in testa Renzi, se ancora a conduzione leaderistica, o pluralistica che tenga insieme le varie anime. Bersani e la sinistra pensano ad un soggetto pluralistico (un Ulivo punto quattro) che agisca nel campo della sinistra mettendo al primo posto il lavoro, i diritti sociali ed il Welfare e possa rappresentare anche il ceto medio, delle professioni e delle piccole aziende. Non è cosa da poco che non si può risolvere con le primarie da Gazebo come vorrebbe Renzi. Non sono scontri personali o le solite divisioni della sinistra ma si va alla radice dello stare insieme in un partito dove o si è con il segretario o gli si è contro. Bersani, da sempre fedele alla “ditta” non esclude più una possibile scissione. D’Alema si chiama già fuori e organizza i suoi comitati per il no per una lista, fuori dal PD, che potrebbe raggiungere – dice- anche il 10% dei voti. Renzi, anche se appare acciaccato ed attorno a lui la folla comincia a dileguarsi, vuole l’elezione il prima possibile e non vuole una discussione interna ma pensa ancora a possibili plebisciti. Perfino Napolitano lo apostrofa: “Non si toglie la fiducia ad un governo per calcolo tattico di qualcuno”. Renzi al governo ha deluso, (l’Economist lo ha qualificato “Unfit” come Berlusconi) ed ha spaccato il partito. Il suo tempo sembra volgere al tramonto. La stampa ed i media dovrebbero fare analisi e domande pertinenti e raccontare la verità e non fermarsi dietro ai pettegolezzi che fanno audience. Dovrebbe essere chiaro che votare in queste condizioni è un rischio. Non è sufficiente fare qualche rappezzo alla legge, ma trasformarla completamente restituendo agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti e togliere premi di maggioranza che distorcono la volontà degli elettori. La nostra è una democrazia rappresentativa ed i Presidenti del Consiglio e della Repubblica non vengono eletti dal popolo ma dai suoi rappresentanti, ragione per la quale questi non devono essere nominati dai segretari politici.
edito dal Quotidiano del Sud