Il voto in una società “liquida”

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La politica italiana va in ferie accompagnata dall’invito del Capo dello Stato a riportare il confronto sul voto referendario di autunno al merito della riforma, per consentire all’elettorato di esprimersi “con piena consapevolezza, nella sua sovranità”. Invito cui ha fatto seguito la non meno importante raccomandazione ad evitare nel linguaggio della politica le “espressioni violente, oltraggiose, aggressive” che invece sono sempre più frequenti. Contrastano con le parole del presidente della Repubblica i toni sempre più accesi che caratterizzano le cronache di questi giorni e che sono purtroppo un riflesso della disgregazione sociale che è alla radice dell’insicurezza che domina le nostre vite. Zygmunt Bauman, il sociologo e filosofo polacco (oggi anche cittadino britannico) che ha teorizzato questa condizione di estremo disagio dell’uomo contemporaneo occidentale, al tempo stesso ricco di beni materiali ma povero di certezze e anche di relazioni, ha coniato il termine “modernità liquida” per indicare lo smarrimento dei riferimenti sociali prodotto “dall’indebolimento dei legami interpersonali, dallo sgretolamento delle comunità, dalla sostituzione della solidarietà umana con la competizione senza limiti, dalla tendenza ad affidare nelle mani di singoli la risoluzione di problemi di rilevanza più ampia” (intervista al “Corriere della Sera” del 26 luglio). In termini più propriamente politici, ad una società “liquida” corrisponde un voto “liquido”, un consenso fluido, erratico, evanescente, non più dipendente da vincoli di appartenenza ideologica, di classe, di cultura, o semplicemente da interessi condivisi; e quindi disponibile per ogni richiamo, anche avventuristico. In questa situazione, c’è da chiedersi quanto il saggio richiamo del presidente Mattarella possa far presa sui destinatari: eppure quando il Capo dello Stato ricorda che “contrastare anche le forme di violenza presenti nel linguaggio costituisce, a pieno titolo, una esigenza di sicurezza”, coglie un altro elemento importante che è destinato a pesare sulle scelte degli elettori. E’ la paura generata dalla percezione di un pericolo imminente quanto indefinibile, l’ansia che produce intolleranza, la solitudine che si trasforma in egoismo. Il susseguirsi di attentati in Europa ha moltiplicato queste sensazioni anche nell’opinione pubblica di Paesi, come l’Italia, finora (ma per quanto tempo ancora?) risparmiati dal terrorismo. Ma come risponde la nostra classe politica al disorientamento dei cittadini? Per il momento non c’è da essere ottimisti, visto che ad un elettorato spaventato e confuso si offre una ricetta che sa ancora di demagogia o di trasformismo. Da una parte la paura viene brandita come arma elettorale alla ricerca di un facile quanto effimero consenso, e i tentativi di costruire sul tema della sicurezza una parvenza di unità nazionale sono stati finora vanificati. Un vertice fra maggioranza e opposizioni convocato la settimana scorsa per dare un segnale di compattezza è naufragato miseramente fra la polemica assenza della Lega e le ripicche di alcuni dei partecipanti. Il clima di solidarietà nazionale che consentì all’Italia di uscire rafforzata dai sanguinosi anni di piombo è solo un pio ricordo, e l’avvicinarsi di scadenze elettorali ne ostacola il ritorno. Poi c’è il trasformismo, la metamorfosi di vecchi partiti che tentano, cambiando volti e slogan, di intercettare un elettorato disperso, e sperano di riuscire a nascondere in formule nuove l’immagine appannata di una politica inadeguata. Infine, c’è da registrare l’intenzione del Movimento 5 Stelle, che ha costruito le sue fortune elettorali anche speculando sul binomio paura-rabbia degli italiani, di accreditarsi, ora che ha conquistato Roma e Torino, come responsabile forza di governo: tentativo dall’esito incerto, visto il permanere di spinte populiste e demagogiche. Questa, nonostante il volonteroso impegno del presidente Matterella, è l’Italia politica che va in vacanza. Potrebbe risvegliarsi d’un colpo per l’acutizzarsi dell’emergenza terroristica, e potrebbe perdere definitivamente l’occasione di un confronto consapevole e serio sulla propria rigenerazione.
edito dal Quotidiano del Sud