In questa immagine avrò vissuto, nella ricerca poetica di Mocella la tensione verso l’infinito

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“Nessuna lontananza tra il qui e l’altrove, nessuna distinzione tra il finito e l’infinito”. E’ Claudia Iandolo a sottolineare nella bella prefazione il senso profondo della raccolta di Vera Mocella “In questa immagine avrò vissuto”, Rp libri. A prendere forma un itinerario che si snoda tra prose e versi, confessione e insieme dialogo, tra ricordi di ciò che è stato, ansia di ciò che non c’è, meditazione e preghiera in una dimensione che acquista un carattere mistico, in un tentativo costante di abbracciare l’eterno, di afferare il sublime, di fare sì che le parole raggiungano chi abbiamo amato e chi non incontreremo mai “Ero destinata a cosa? Mi chiedo. La mia vita non è circoscritta, imprigionata in un punto, costretta in un angolo. Cose ancora da scoprire mi attendono, e la profondità dell’anima che siestende, l’anima mundi che invade tutto. E se anche la materia fosse spirito? Se anche la materia fosse luce? Mi volto, i sensi di colpa si dissolvono, scompaiono, cosa sono stata non importa, neppure importa cosa sarò, cosa sarò domani. Portammo amore, o cercammo disperatamente di portare amore quaggiù, nelle stagioni che si confondono, si alternano, si intrecciano, in queste stagioni dove cade la neve a primavera, come sul cuore cade la pioggia, d’estate…Quanti sogni nel mio cuore, sogni che si muovono come queste nuvole, sogni perduti, e sogni ancora da realizzare, sogni lontani, e sogni che non possederò mai. Chi possiedo io, quando possiedo il mio cuore? Conoscenze sublimi mi invadono, mi sovrastano, più alte del mio stesso cuore”.

Centrale il tema dell’amore che è etereo e insieme sensuale, capace di abbracciare anima e corpo “Non so se sei venuto all’alba o di notte, so solo che nulla ti chiesi. – scrive Mocella – Si sussegue il giorno all’altro giorno, il tramonto di ieri a quello di oggi e di domani, e tu cammini nel tempo, nella mia memoria, ancora vivo, come se tutto fosse ora, accadesse oggi” . Poichè “Il mio amore/è come l’eternità del maggio”

Persino le lacrime si fanno dono “Il dono delle lacrime/cristalli incandescenti del cuore./Sono atroce destino/sono meraviglioso destino/sono fango e polvere sui piedi stanchi” . E l’amore è sempre desiderio struggente di una presenza che non c’è “Portami in dono i tuoi occhi, i tuoi occhi di lacrime e di gioia, che hanno visto albe e tramonti nascere e invecchiare, i tuoi occhi che conoscono, che hanno conosciuto l’amore, i tuoi occhi stellati,portami in dono, ti prego, i tuoi occhi…Poiché i tuoi occhi sono i miei, abbiamo una luce sola, un solo sguardo sull’anima”. Non c’è altra strada che quella dell’attesa “Voragini di fuoco/mi confondono/e aspetto che ritorni/ciò che ho perduto”.  “Ma è il vento, il vento più di tutti che mi parla di te, – scrive ancora Mocella – racconta storie mai ascoltate, storie che parlano di miracoli, di creature fragili e eterne, che non muoiono mai”. Eppure c’è un senso persino in quell’attesa senza fine “Si sgretola il tempo/batte il suo ritmo cadenzato/nella stanza magica./Ora so che hanno senso/anche le ore vuote, inutili,/piene di attese mai risolte./Ora so che hanno senso”. Un’attesa che racconta l’eternità dell’amore “Il mio amore/disperso nei rivoli/non si estinse mai./Misteriosa sorgente/non imbrattata da ingiurie e da offese”

E’ un amore che si fa unione, specchio in cui riconoscere sè stessi quello che racconta l’autrice, epifania e insieme rivelazione “Ti guardo, ti guardo e vedo in te l’immagine purissima di ciò che sarò – scrive Mocella – Tu sveli il mio mistero, la mia essenza. Forse è questo ciò che è celato nei quadri di quei pittori, di quegli artisti misteriosi che ritraggono l’invisibile, ma invisibile è una parola che non rende l’idea del misterioso mondo che noi siamo, del mondo che è dentro di noi, e intorno a noi. Tu sei questo, tu riveli, sveli questo. Esistono sulla terra persone, esseri destinati a rivelare all’altro la sua intima essenza”.

L’amore è in fondo l’unica libertà possibile quando si fa ricerca dell’infinito”Essere libera non significava non avere colpe, essere libera, non significava separazioni, lacerazioni, tradimenti. Aveva scelto quella strada perché quella, solo quella, era la sua strada, non altre”. Così anche la nostalgia diventa tensione verso un universo ultraterreno “Nostalgia del tempo perduto, nostalgia della mia innocenza.  Nostalgia di purezza e sete, sete infinita di infinito. Quella che è  ancora mia, adesso come allora. Davvero voi non conoscete altro che  il vostro egoismo, per questo, solo per questo, un giorno vi ho lasciati”. “Spazio, tempo, furono – scrive Mocella – solo immagini illusorie, velo della realtà che nascondeva il Tutto, nel tutto viviamo e nuotiamo, il nostro amore ci svelò l’anima, il nostro amore fu tutto, perché nel nostro amore vissero tutti gli altri amori, perché nel nostro amore vissero i martiri e le lacrime di tutti gli uomini e le donne che attraversarono il mondo”.  L’amore diventa fede assoluta “Non sapevo amore, le cose che ora so,/l’Amore non si spezza, l’Amore non si uccide,/risorge sempre,/sempre risorge l’intatto Amore”. Tanto che l’io poetico può gridare che “Non ti posso lasciare, non ti lascio, vivi in me come vivono i ricordi, respiri in me come soffio di vita e di luce pura. Sei in me eterna marea che il tempo eternamente solleva”. Un amore che diventa tutto, che si può cogliere solo passando per la sofferenza e il dolore.

Poiche “Non si cancella, non si uccide l’amore, l’amore è una spada dura, l’amore è una ferita profonda, l’amore4è una pietra aguzza, l’amore è un chiodo conficcato nello spirito, l’amore è l’eterna canzone e l’eterna poesia dei martiri. L’amore è l’eterna nostalgia degli angeli, più potente della morte, più invincibile e crudele del dolore, più potente del più amaro veleno, più dolce della più dolce delle pene”.

Mocella si interroga sul senso dell’esistenza, su cò che poteva essere e non è stato, sui fremiti e tormenti dell’anima “Allora cosa rimane di tutto il resto, delle cose non dette, delle persone conosciute, di quelle con cui abbiamo cercato di barattare una felicità perduta, di quella quotidianità sempre inseguita e mai trovata, di tutto questo, dei sogni, degli incredibili sogni fatti, degli ideali sospesi al vento come giare mute, di tutto questo cosa resta, cosa rimane?”

Ha ragione Iandolo quando spiega che a caratterizzare la raccolta è “una sorta di epifania del nascosto in cui, appunto, il mistero dell’esistenza si illumina e si rivela perfino attraverso il dolore e le lagrime. Mistero che può essere solo intuito e mai spiegato”.
La raccolta sarà presentata il 4 gennaio, alle 17.30, al Circolo della stampa. Si confronteranno con l’autrice Monia Gaita, Claudia Iandolo e Floriana Guerriero