La destra e l’Europa

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Andrea Covotta

Il fenomeno non è nuovo, anzi si sta consolidando da qualche anno, è il successo crescente delle destre in Europa. In Italia pur con grandi tensioni governano insieme Fratelli d’Italia e Lega, nel resto del continente l’ultima forza politica ad aver riportato un buon successo elettorale è il movimento di destra portoghese Chaga! (in italiano Basta!) che fondato solo cinque anni fa ha raggiunto il 18 per cento alle elezioni dello scorso 10 marzo. Quello che rende simili i partiti della destra è l’euroscetticismo, una forte impronta leaderistica, nazionalismo, difesa dei valori cristiani e politiche incentrate sulla sicurezza e sull’espulsione dei migranti. In Spagna circa dieci anni è nata Vox, i fondatori si sono staccati dal Partito Popolare ritenuto incapace di opporsi ai progressisti e troppo morbido verso le istanze secessioniste di baschi e catalani. In Francia è accreditata come prima forza politica del Paese, il Rassemblement national di Marine Le Pen. Altre forze in ascesa sono in Belgio il movimento indipendentista fiammingo e in Austria l’Fpö (Partito della libertà austriaco) un movimento che raccoglie anche nostalgici nazisti. In Germania, Alternative für Deutschland, che nelle ultime elezioni è risultato il quarto partito più votato al Parlamento tedesco, strizza l’occhio ai neonazisti tedeschi. Tutte queste formazioni, compreso la Lega, fanno parte in Europa di Identità e Democrazia, un gruppo del quale non fa parte Fratelli d’Italia. Meloni e Salvini hanno fatto scelte diverse a livello europeo e la principale divisione riguarda il diverso giudizio sulla guerra in Ucraina e anche il sostegno alla ricandidatura di Ursula von der Leyen al vertice della commissione europea. Da parte della Meloni c’è stata un’apertura, mentre per i partiti della destra identitaria e nazionalista non ci può essere dialogo perché, secondo il loro giudizio, con la sua presidenza si sono aggravate le politiche dei popoli europei. Il punto principale che, però, denota la forza elettorale di questi movimenti è il non essere solo un fenomeno europeo ma riguarda più in generale il mondo globalizzato. Ha scritto Aldo Grasso che “se paesi governati da regimi autoritari come Cambogia, Venezuela e Zimbabwe ci paiono lontani, ben diverso è il discorso che riguarda Putin, Orbán, Erdoğan, Xi Jinping. E lo spettro di Trump? Com’è possibile, dopo l’assalto a Capitol Hill, che molti americani pensino ancora di votarlo? Di fronte alle crisi economiche, ai flussi migratori, alle pandemie, alle guerre prende corpo la suggestione che un governo con un vertice forte, uomo o donna al comando, possa decidere con velocità, senza i fastidi e i contrappesi che il complesso sistema democratico impone. Si finisce con il non percepire più il pericolo della mancanza della libertà in nome del decisionismo, di una lenta erosione della funzione dei partiti e del Parlamento. Anche per questo, è probabile che uno come Putin eserciti tanto fascino su politici e cittadini italiani”. Nonostante siano passati dei secoli resta, dunque, attuale l’avvertimento di Niccolò Machiavelli che a metà del 1500 scriveva: “quasi sempre gli uomini, quanto più autorità hanno, peggio la usano e più insolenti diventano”.