La lezione di Moro

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Quando mancano solo dieci giorni al voto, per i leader di partito non è più tempo di voltarsi indietro occorre solo guardare ai risultati del 25 settembre e a quello che accadrà immediatamente dopo. C’è però un’analisi di fondo da fare e riguarda la legge elettorale perché in molti, a partire dal Pd guidato allora da Zingaretti, si erano impegnati a modificarla dopo il taglio dei parlamentari. Non è stato fatto e proprio il Pd è rimasto “vittima” di una legge che non premia la corsa solitaria ma obbliga a siglare alleanze prima del voto. Il partito di Enrico Letta non ha avuto la forza di cambiare e non ha nemmeno scelto la strada di costruire intese elettorali. Si vedrà dopo il voto se nasceranno quelle alleanze che non si sono fatte adesso. Curzio Maltese ha scritto ironicamente che Pd, Cinque Stelle e centristi sono come degli uccellini che non riescono a convivere sullo stesso ramo e si beccano a vicenda. Dal 26 settembre si apre però un nuovo capitolo e sarà interessante vedere cosa scriveranno su quelle pagine, oggi bianche, Letta, Conte e Calenda. In questa asfittica campagna elettorale dominata dagli slogan e da proposte spesso irrealizzabili, è difficile concentrarsi sui contenuti. Si continua, ad esempio, a vedere il problema dell’immigrazione come un tema gigantesco e che ci costa una marea di risorse pubbliche quando invece nella realtà il nostro Paese spende per i migranti cinque miliardi l’anno mentre la spesa pubblica dello Stato è di 950 miliardi. Altro tema è quello relativo alla flat-tax, se ne parla dal 1994 quando Silvio Berlusconi propose un’aliquota fissa al 33 per cento. Oggi la proposta della Lega di Salvini è del 15 per cento, meno della metà. Una riforma che costa tanto e dunque aprirebbe un bel buco nei conti pubblici, per finanziarla occorrerebbe trovare risorse da altre parti e non è facile. I problemi, dunque, sono più complessi di quelli che vengono strumentalmente elencati e chi vincerà dovrà dare risposte ad una società sempre più smarrita e che pone una serie di interrogativi ai quali è difficile rispondere perché è meglio illudere l’opinione pubblica che disilluderla. “Datemi un milione di voti e toglietemi un atomo di verità e io sarò un perdente” scriveva Aldo Moro di cui il prossimo 23 settembre ricorrono i 106 anni dalla nascita, ma la verità in campagna elettorale è meglio nasconderla. Del resto, anche ai tempi di Moro, che pur con grande lucidità aveva previsto l’indebolimento dei partiti di massa sostituiti dal leaderismo e dal consenso effimero, il momento prima del voto era preceduto da una serie di promesse che strizzavano l’occhio al consenso facile. C’era però uno stile e un rispetto tra avversari che oggi non ci sono e un sistema che garantiva la tenuta del Paese mentre adesso tutto è molto fragile. Chi vincerà dovrà, infatti, affrontare sfide molto difficili, da quelle economiche alle scelte di politica estera. Il partito con maggiori probabilità di vittoria è Fratelli d’Italia che, al di là delle prevedibili tensioni interne alla coalizione, dovrà dimostrare una forza non più numerica ma politica. Il non aver partecipato agli ultimi governi potrebbe essere un vantaggio elettorale perché non ci sono state compromissioni ma inevitabilmente è cresciuta un’aspettativa nell’opinione pubblica. E allora rileggendo ancora Moro sono molto attuali queste sue parole “un partito che non si rinnovi con le cose che cambiano, che non sappia collocare ed amalgamare nella sua esperienza il nuovo che si annuncia, viene prima o poi travolto dagli avvenimenti, viene tagliato fuori dal ritmo veloce delle cose che non ha saputo capire ed alle quali non ha saputo corrispondere”.

di Andrea Covotta