La politica del trasformismo

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Quando Feltrinelli pubblica nel novembre di sessant’anni fa “il Gattopardo” il suo autore è già morto. Ad accogliere quello che sarà considerato un capolavoro della nostra letteratura è un paese uscito da una guerra disastrosa ma gli italiani vogliono rifarsi. Comincia il boom economico. Una rivoluzione moderna che trasforma l’Italia da nazione contadina a potenza industriale fino a farla sedere tra i grandi del mondo nel G7. Il benessere è alla portata di tutti e quel Paese tratteggiato da Tomasi di Lampedusa sembra appartenere solo alle pagine della storia ed invece è ancora estremamente attuale a cominciare dalla sua massima più famosa pronunciata da Tancredi il nipote del Principe di Salina: “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Una sorta di simulazione per poter conservare in eterno il potere. Riciclandosi o riposizionandosi.  Il trasformismo italiano che non muore mai. Del resto proprio adesso ci sono due forze che governano in nome del cambiamento. Una parola fin troppo abusata a cui si può ricorrere però come uno slogan felice. Lo spot che evita i contenuti.  Anche in questo caso Di Maio e Salvini parlano di un governo del cambiamento per descrivere invece l’ennesimo governo di coalizione. Il romanzo di Tomasi di Lampedusa fa calare il sipario su un’epoca. La fase di passaggio dalla fine del Regno delle due Sicilie alle prospettive della nascente Italia risorgimentale. Il cinismo e il disincanto sono le caratteristiche del protagonista: il Principe Fabrizio Salina. La vecchia società si sta sgretolando e la nuova ha i volti del nipote Tancredi ma soprattutto del furbo sindaco Calogero Sedara. Il vero co-protagonista della storia. La sua figura coincide con quella della nuova generazione che si sostituisce alla vecchia aristocrazia e mette in luce l’arrivo del ceto medio pronto a governare a costo di qualsiasi compromesso. Non vincerà il disincanto del Principe ma l’abilità del sindaco. Una eterna successione che lega anche la nostra attuale Italia a quella del recente passato. I notabili dal passo cadenzato della Prima Repubblica così diversi da chi oggi occupa velocemente ed ininterrottamente giornali, tv e social con meno contenuti e più leggerezza.

E del resto il figlio adottivo di Tomasi di Lampedusa Gioacchino Lanza qualche giorno fa ha spiegato che il “Gattopardo  considerato un romanzo politico è soprattutto un libro scomodo, dirompente, micidiale perché si innesta nella mancata metabolizzazione da parte degli italiani del Risorgimento, se rileggiamo bene oggi l’esito di quella stagione di riunificazione della nazione italiana possiamo dire che il Risorgimento è stato un processo la cui parabola ci ha condotti dritti fino al fascismo, perché diciamolo francamente la monarchia dei Savoia non era affatto per la democrazia, tutt’ al più lo erano i liberali alla Giolitti. Sono i Savoia ad averci portato al fascismo. Inoltre il risorgimento ha spaccato l’Italia inesorabilmente in due parti e la frattura tra Nord e Sud è così imperante da avere segnato sensibilmente perfino le ultime elezioni politiche. Il successo del libro viene da questo: la gente era povera, disperata alla fine della seconda guerra mondiale, non le si poteva mettere la museruola e così sono cadute le scaglie dagli occhi alla gente distrutta che ha pensato: ci avevano detto che questo era il progresso, ma invece siamo stati fregati”. Insomma il romanzo resta sempre di estrema attualità e la sua lettura è necessaria per capire come va l’Italia di oggi. Così quando ascoltiamo i politici parlare di cambiamenti (Salvini E di Maio), rivoluzione liberale (Berlusconi) o rottamazione (Renzi) sappiamo che poi sono principalmente slogan e non mutamenti radicali. Quel tutto cambiare perché tutto resti uguale è la massima che ci accompagna e continuerà ad accompagnarci.

di Andrea Covotta edito dal Quotidiano del Sud