La ricerca del bene comune

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In occasione delle celebrazioni legate alla festività dell’Assunta il vescovo di Avellino Arturo Aiello ha scelto di rivolgere un messaggio alla comunità, attraverso la stampa locale. Un messaggio che sottolinea la volontà di portare avanti un dialogo costante con i fedeli. Lo proponiamo di seguito Nel cuore dell’estate, mentre sei al mare o in montagna, o semplicemente fai vacanza in Piazza Duomo come Umberto Saba dove “la sera invece delle stelle si accendono parole”, ti raggiunge l’eco, purtroppo debole, di un ferragosto cristiano che porta il nome di “Assunzione di Maria in cielo”. Cosa nasconderà mai questo titolo mariano? E cosa avrà da dire a questi giorni in cui il lavoro si ferma e si dà spazio alla festa, al riposo, alla convivialità, a tutto ciò che riguarda il corpo e che il consumismo propaganda in mille varianti? A te disteso in riva al mare dove la risacca lambisce sdraio e ombrelloni, a te incamminato sui mille sentieri delle Dolomiti, Alpi gotiche con torrioni e fasce di colonne, o sui sentieri della nostra verde Irpinia, a te restato a casa perché impossibilitato da ragioni economiche o affettive, la solennità dell’As – sunta porta una speranza eccitante: il tuo corpo avrà futuro oltre il tuo corpo. Ma facciamo un passo indietro perché sia chiaro a tutti il contenuto di fede che la Chiesa propone a credere: Maria, la Madre del Signore, unita come nessuno ai misteri della vita del Figlio, partecipa alla gloria della Risurrezione ed Ascensione venendo assunta in cielo (leggi gloria di Dio) non solo con la sua anima, ma anche con il suo corpo. La ventiquattresima edizione del Palio della Botte, oltre i suoi originali aspetti rievocativi di antiche tradizioni dell’antico borgo della Città di Avellino, costituisce un fermento e una ricerca che continua: la ricostruzione di un tessuto comunitario sfilacciato, una generosa e significativa sartoria sociale le cui speranze vanno raccolte coltivate e promosse dall’impegno di una democrazia associativa, presente sul territorio cittadino, forse ancora non consapevole delle sue grandi potenzialità, ma comunque presente e vitale, alla ricerca di una nuova capacità di diventare interlocutrice intelligente e credibile nell’attuale momento di smarriemnto globale. Qualcuno, certamente più autorevole osservatore di chi scrive, afferma che il dramma del nostro tempo è che siamo senza “bussola”. Ma sono convinto che la bussola c’è, il problema è che ancora non sappiamo leggerne le indicazioni: le affollate serate in Piazza Libertà, il Palio della Botte, la proposta di adozione del verde cittadino da parte del Vescovo Arturo, i segni della speranza nei volti di tanti cittadini che finalmente si riappropriano dei beni comuni – sep – pure di quelli materiali – della propria città sono segnali positivi che vanno raccolti. Da chi? La risposta è semplice anche se non va banalizzata come battuta insipida ed ironica: dai cittadini responsabili di buona volontà. E qui ritorna la declinazione del concetto di democrazia associativa che non è la terza via tra liberalismo individualista e sociodemocrazia, ma è la via maestra da percorrere per riaggregare, progettare e costruire una architettura istituzionale mandata in soffitta dalla globalizzazione. È la via che colma il vuoto sempre più deleterio del deficit di politica, un deficit di immaginazione del futuro, di capacità, cioè, di governare le forze possenti della tecnologia, della finanza, della scienza senza etica, delle violenze all’ambiente e al territorio. Sarebbe, utopico, frattanto, non rilevare, con non poco rammarico, che all’interno delle nostre comunità, imperversa da lungo tempo anche la democrazia dissociativa, come specie di guerra civile di tutti contro tutti, dove non si riconoscono valori comuni e percorsi fecondi da intraprendere: basta ricordare lo squallore civile e democratico di tante riunioni del consiglio comunale di Avellino, andati a vuoto sul nulla, solo per una diffusa avversione antropologica tra gli attori in scena. La strada della democrazia associativa, invece, è fondata sull’impegno che chiede un di più di politica, una maggiore capacità di leggere e soddisfare i bisogni sociali, oltre gli egoismi personali o di gruppo per il bene comune. Si, il tema della comunità, racchiuso in quest’ultima declinazione. La parola ha nella sua radice quel “mumus” che è allo stesso tempo dono e compito. Qualcuno ha fatto osservare che si può far discendere la parola non da mumus, ma piuttosto da “moenia”, quindi “cum moenia”, le mura, quelle che definivano i confini della città, all’interno della quale si poteva vivere sicuri, si esercitavano i traffici e i commerci, e dove c’era la possibilità di vita sociale, mentre fuori imperversavano i briganti. È auspicabile, frattanto, che questi segnali di speranza che questo ferragosto avellinese chi ha donato, vengano anzitutto letti nella loro pregnanza di significato, ma soprattutto vengano presi in carico, liberati dai bisogni e dalle paure, disposti a tirar fuori i talenti, con spirito di comunione e di speranza.

di Gerardo Salvatore, Quotidiano del Sud, 15/08/2017.