La scommessa di Letta per un nuovo Pd

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Ora Enrico Letta, confortato da un ampio consenso interno, si accinge a svolgere il suo non invidiabile compito di segretario del Pd. Una scommessa impegnativa, se non una vera e propria avventura. Letta ne è consapevole, come hanno dimostrato le sue parole:“Mi candido a nuovo segretario ma so che non serve un nuovo segretario: vi serve un nuovo Pd”. Infatti occorre definirne una più adeguata identità. Non tanto, però, come rievocazione dei miti delle origini  (qualche ex-Pci ha storto ancora un po’ il naso di fronte ad un ex Dc), quanto piuttosto come concreta declinazione dei valori e dei diritti che il Pd intende difendere nella attuale società globalizzata. Significativi, in proposito, i riferimenti allo ius soli, ai giovani, alle donne, al partito “aperto”. Da qui un programma  coerente e credibile di riforme. Infine, il tema delle alleanze, su cui sono già visibili all’interno posizioni diverse. In particolare sul carattere di quella con il M5S, da molti giudicata troppo stringente  e poco redditizia sul piano politico. Il tutto mantenendo l’unità, anzi l’apertura del partito, “senza vendette”, come ha sottolineato Letta.

Sono trascorsi  solo sette anni, ma sembra una vita. Si era al tempo del renzismo arrembante. Vero peccato originale di quasi tutta la classe dirigente del Pd. Silenziosa complice, all’epoca, della violenta trasformazione del Pd, tentata da Renzi, da partito a difesa dei lavoratori  a forza ammiccante a grandi industriali e finanzieri! E la beffa  di quella frase, ”Enrico stai sereno”, pronunciata dal Bomba proprio mentre ordiva la sua liquidazione da premier.  Diventata, giustamente,  un esempio da manuale fra i più clamorosi e infami atti di tradimento politico della nostra storia. Seguito poi dalla ormai celebre scena del passaggio del campanello tra i premier in una atmosfera gelida. E infine dalle dimissioni dal Parlamento.  E dall’assunzione, a  Parigi, degli incarichi di direttore di due prestigiosi Centri internazionali di alta fomazione politica. Così il suo profilo personale  si è molto  rafforzato.

Tuttavia – in aggiunta alla solida preparazione culturale, alla  passione politica evidenziata come direttore dell’Arel, il centro studi del suo maestro Nino Andreatta,  e la sua vocazione alla moderazione –  neppure il suo accresciuto prestigio gli garantisce il successo in quella che appare comunque quasi una mission impossible. Solo il tempo potrà dire se sarà riuscito nell’impresa. Nata in una confusa emergenza piuttosto che da un ordinato processo di dialettica interna. Insomma, da quel normale itinerario che prevede di andare, prima, ad un confronto congressuale. E dopo, ma solo poi, eleggere una leadership. Le polemiche dimissioni di Zingaretti hanno dimostrato che egli stesso è stato stato, insieme, responsabile e vittima di quello che il Pd è diventato negli ultimi anni.

Ha avuto li il merito (con l’aiutino di Salvini, affossatore dell’esecutivo giallo-verde!) di essere riuscito a riportare il partito al governo. E’ apparso però troppo cedevole rispetto alle pretese deil M5S (ad es. sulla riduzione dei parlamentari). Ha teorizzare una sorta di alleanza organica con i riottosi  pentastellati. E incoronato Conte come federatore di un possibile fronte governativo. Discutibile, però, come fronte progressista. Alla fine, è stato non più artefice ma egli stesso vittima della condizione del partito. Da tempo ridotto a pura, statica ma litigiosa federazione di correnti piuttosto che a forza dinamicamente impegnata nella realizzazione di un serio programma riformista.

Gli spazi di operatività politica appaiono purtroppo ridotti. E condizionati da vari fattori. La presenza di un premier forte come Draghi, concentrato sui suoi obiettivi e poco disponibile a farsi tirare per la giacca dai propositi dei partiti. L’altro limite è l’attuale, molto composita maggioranza, dalle posizioni molto diverse. Infine, le incognite di un gioco politico che, per la prima volta, si va articolando – stando a numerosi sondaggi – su quattro pilastri (Lega, M5S, Pd e FdI). Tutti gravitanti in una fascia abbastanza ristretta, oscillante tra il 23 e il 18% dei consensi. Uno stato di cose che rischia di  non rendere facile  la pur lodevole scommessa di Letta!

di Erio Matteo