La sconfitta della solidarietà

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La situazione politica in Italia è grave ma non è seria” ripeterebbe Ennio Flaiano. Il Paese è allo sbando, travolto da problemi gravissimi, eppure esso si avvita sulla discussione che riguarda se andare o meno al voto anticipato. Come se questa fosse la risposta ai tanti italiani che non riescono ad arrivare alla fine del mese, mentre vedono la disoccupazione impennarsi e i giovani andare avanti con poche speranze. La politica è morta, se qualcosa rimane sopravvive come organizzazione di interessi particolari. Mai come risposta ai bisogni. Il futuro è senza progetto, è organizzato sull’emergenza. Legalità e bene comune sono termini desueti. La loro profanazione è costante. Confesso di non essere digitalmente molto “connesso”. Non per questo mi sento un troglodita. La mia generazione aveva poca tecnologia, ma molti valori. Ha conosciuto la solidarietà e l’altruismo, è stata allevata tra ristrettezza e sacrifici, ma non ha mai perduto il desiderio di credere. Eppure essa è responsabile di non aver saputo selezionare una classe dirigente, di non aver insegnato che il “tutto e subito” corrisponde alla categoria dell’effimero e non alla costruzione di una rotta per la difesa della dignità. La radice del male è nella logica della conquista del potere. Si lotta per questo, si vive per esso, ci si danna se non si riesce a conquistarlo. Solo per se stessi e non per le comunità e i territori su cui esse si aggregano. Tutto questo ha generato un mostro difficile da combattere: una solitudine che rischia di procurare sconfitte. E’ così in questa bella Italia travolta da una partitocrazia affamata, inetta e quasi sempre inconcludente. Non diversamente accade nel Mezzogiorno che non riesce a diventare protagonista del proprio destino; in Campania dove l’aumento della povertà e della criminalità, sotto forme nuove e diverse, presenta un conto salato; nella nostra Irpinia che affanna nell’indifferenza di tutti; ad Avellino che c’era una volta come comunità dignitosa ed ora è solo una città disperata. Eppure bisogna continuare come scrive Benedetto Croce nei “Taccuini di lavoro” che domani Toni Servillo leggerà in parte al Bellini di Napoli per un iniziativa della Fondazione Croce. Più di un anno dopo il delitto Matteotti, il 6 ottobre del 1925, il filosofo scrive: “Ho riesaminato ancora una volta per ogni verso la situazione presente; e il riesame mi avrebbe lasciato nella depressione della tristezza, se non mi fossi rammentato di cosa che, da filosofo, ho ragionato, dell’errore cioè di porre i problemi politici in termini estrinseci, scrutando l’Italia e temendo o sperando di lei; laddove l’unico modo di porli è quello personale e morale, che cerca e mette capo alla determinazione del quid agendum personale, del proprio dovere. E non mi è stato difficile rifermarmi nella risoluzione, che a me spetti continuare a fare quel che posso fare, qualunque cosa accada”.

edito dal Quotidiano del Sud

di Gianni Festa