“Studiate e diventate padroni delle vostre vite”

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Don Merola all’Ite Amabile: la cultura unica arma contro le mafie

 

«E’ arrivato il tempo di svegliarsi e il miglior modo per farlo è studiare. Solo così diventerete padroni della vostra vita, la rivoluzione capace di trasformare città come Napoli e Avellino non può che partire dalla cultura». Lo sottolinea con forza don Luigi Merola, ospite ieri mattina all’istituto Amabile di Avellino, immediato e schietto, pronto a chiamare le cose con il proprio nome. E il messaggio è chiarissimo «Le mafie – spiega don Merola – non hanno mai dato lavoro, ma al massimo precariato perché prima o poi lo Stato interviene e arresta chi fa affari con la criminalità organizzata. E quando lo Stato interviene fa male. La camorra, come la mafia, porta solo alla morte. Ecco perché a voi ragazzi dico di innamorarvi dei veri boss, che non sono i mafiosi ma i nostri maestri e professori, i nostri preti. Ce ne sono tanti che svolgono al meglio il proprio lavoro, al di là delle mele marce che Papà Francesco fa bene a mandare a casa».  Mette in guardia dall’effimero rappresentato da televisione e Internet «Imparate a chattare con le persone giuste e cercate sempre la bellezza. E’ inutile tenere le mani in tasca, usatele per aiutare gli altri, impegnatevi nel sociale. Non dovete mai dimenticare che siete torce da accendere, non vasi da riempire». E’ la mentalità mafiosa, ripete più volte, che bisogna combattere, nasce da quest’obiettivo anche la Fondazione "A voce d’e creature", sorta nello spazio di una villa confiscata alla mafia, la mentalità mafiosa che impone il silenzio, «quello stesso che volevano impormi a Forcella quando mi dicevano che dovevo stare in sacrestia e non tra la gente. Poi è arrivato Papa Francesco e ci ha ricordato il nostro compito, essere pescatori di uomini. Quello stesso silenzio che hanno cercato di impormi, quando di fronte alle minacce di morte ricevute, lo Stato ha pensato bene di trasferirmi lontano da Forcella, facendomi consigliere del Ministro». Ricorda come oggi esista anche una camorra bianca, a cui ha dedicato un volume, «E’ quando abusiamo del potere, pensando di essere intoccabili, quando i colletti bianchi scendono a compromessi con la mafia. Ecco perché non dovete mai avere paura di parlare. Una domanda non fatta è un calcio nel sedere che riceverete domani». E sulla vicenda delle scritte omofobe ad Ospedaletto sottolinea come «Ogni minaccia è parte integrante di quella mentalità mafiosa ed è segno di mancanza di cultura. Dobbiamo ricordare a chi compie questi gesti che la Chiesa è innanzitutto accoglienza, anche delle diversità, che non sono un difetto, ma una potenzialità. Una Chiesa che deve anche alzare la voce e condannare questi comportamenti illegali». Un invito all’accoglienza rivolto innanzitutto ai migranti «La Chiesa nasce per i poveri, per i migranti che vengono qui non per derubare ma per fuggire dalla guerra e dalla povertà, troppo spesso vittime delle nazioni ricche che hanno deturpato e impoverito questi popoli. Dunque è fondamentale educare le comunità all’accoglienza». Preziosa anche la testimonianza di Paolo Borrometi, giornalista da anni sotto scorta per il suo impegno contro la mafia «Non ci si deve mai girare dall’altro lato, il ruolo di giornalista, ma soprattutto il ruolo di cittadino, impone di guardare negli occhi la realtà. Girarsi dall’altro lato può sembrare molto più semplice, si può dire "tanto non riguarda me", ma primo o poi scopriamo che ci tocca, direttamente. Tante, troppe le vittime innocenti. Ciascuna deve portare avanti la battaglia con il proprio lavoro, qualunque esso sia. In questa rivoluzione la cultura ha un ruolo centrale, le organizzazioni criminali possono essere sconfitte solo dall’educazione, perché se cominciamo a sconfiggere la cultura dell’omertà e ad aprire gli occhi invece di chiuderli, allora potremo mettere in ginocchio le mafie». Non nasconde le difficoltà incontrate nel suo lavoro di giornalista, come quando fu aggredito il 16 aprile del 2014, «un’aggressione della quale ancora oggi porto i segni fisici ma soprattutto morali. Mi dissero che se avessi continuato sarebbe stata solo la prima di una lunga serie, ma se avessi mollato avrebbero vinto loro. E non me lo potevo permettere, non solo per me. Non siamo eroi ma persone che non si sono arrese. Sentivo che il mio dovere era quello di raccontare come stavano le cose perché ciascuno potesse decidere da che parte stare». Pone l’accento sull’importanza di non far apparire i mafiosi per quello che non sono «i veri eroi non sono loro ma i poliziotti che rischiano la vita nello svolgere il proprio lavoro».  Denuncia la corruzione dei politici che investono e fanno affari con le mafie, la debolezza di quella parte dello Stato che ha scelto di trattare con la Mafia, facendo sentire  tutta la debolezza delle istituzioni «che non possono scendere a patti con la criminalità organizzata». Quindi l’appello ad essere «partigiani di una nuova Resistenza. In una Repubblica si può scegliere di essere sudditi o cittadini. Chi non denuncia è colluso e la mafia trae forza dal silenzio». Ricorda come malgrado sia da due anni sotto scorta «non ho perso la libertà di pensare e far sentire la mia voce». A moderare il dibattito, introdotto dalla dirigente scolastica Antonella Pappalardo e dalla professoressa Michela Limongiello, il direttore del Quotidiano del Sud Gianni Festa, che ha ricordato la sua esperienza come giornalista contro la mafia.