La vittoria dei candidati anti-sistema

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Di Andrea Covotta

Gli anni Settanta vengono ricordati come quelli del grande “impegno” sociale e politico caratterizzati da una irrequietezza esistenziale che in alcuni casi si trasforma in rabbia. Sono gli anni del terrorismo rosso e nero, del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro. Un decennio tumultuoso con la contestazione giovanile e quella operaia, e ancora la strategia della tensione, lo stragismo e la lotta armata, la solidarietà nazionale, il movimento del “settantasette” e il femminismo. In questi anni così impegnati arriva, inaspettatamente, dagli Stati Uniti una ventata di freschezza. Il 15 gennaio del 1974 va in onda sul network Abc, la prima puntata di “Happy days” che in Italia la Rai trasmetterà tre anni dopo, l’otto dicembre del 1977. Lo storico Miguel Gotor sottolinea che “Gli anni Settanta non sono stati soltanto stragismo, lotta armata e violenza politica diffusa, ma anche un decennio di modernizzazione politica, civile, culturale e sociale del paese che forse non ha uguali nella storia del Novecento. Semmai bisogna chiedersi per quale ragione il decennio in cui la violenza esplode è anche quello in cui si realizzano importanti interventi riformatori”. Di felicità l’Italia e tutto il mondo, in quel momento, hanno un disperato bisogno a causa della difficile situazione economica e della guerra ancora in corso in Vietnam. Crisi economica e guerra, quante analogie con il mondo di oggi. E allora l’idea è tornare indietro, volgere lo sguardo con nostalgia, agli anni Cinquanta quelli dell’ingenuità perduta. L’idea alla base dei telefilm è semplice: una famiglia della media borghesia americana con due figli adolescenti e i loro amici e poi il “deus ex machina”, Fonzie, un ragazzo più grande che fa il meccanico e “ripara” oltre alle auto tutti i piccoli guai della compagnia. “Happy days”, rappresenta per la nostra generazione, e per l’Italia di allora, l’angolo di vita felice e spensierato. Lucio Battisti uno dei cantautori italiani più impegnati confessò: “qualche volta vorrei essere come Fonzie e Richie anche se non ho più l’età. Mi ci troverei in mezzo e canterei una delle mie canzoni”. Per il nostro paese quel telefilm diventa, insomma, il luogo dove fermarsi per dimenticare i tanti problemi che lo affliggevano. Nella Rai del 1977 il direttore generale è Pierantonio Berté, già deputato per quattro legislature: democristiano, giornalista, poeta. A Palazzo Chigi c’è Giulio Andreotti che guida i governi della solidarietà nazionale immaginati da Moro e Berlinguer e che vedono per la prima volta una donna ministro: Tina Anselmi. Il nostro Paese, angosciato dal terrorismo che sembrava invincibile, sente un po’ suo il mattatore della serie, Fonzie, cui gli autori attribuiscono il nome italiano di Fonzarelli. “Happy Days” è andato in onda per 255 puntate e ha vinto quattordicipremi, tra cui gli Emmy Awards nel 1978. Ha avuto un successo planetario e ha anticipato le serie televisive che oggi guardiamo su Netflix, Sky, Rai Play e Amazon Prime. Ha scritto Terry Marocco su Panorama: “erano i nostri giorni felici, peccato che forse non lo abbiamo capito in tempo”.