Leopolda, se la politica non esce dalla palude

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Le reazioni più immediate di molti osservatori sulle conclusioni della Leopolda 10, mostrano non poche delusioni sul piano di una nuova e credibile proposta politica, capace di superare l’attuale disaffezione verso la politca stessa, attraverso una innovativa narrazione progettuale. Forse è proprio la mancanza di quest’ultima che ha determinato il virus della disaffezione per l’agire politico che non è più confronto ideologico serrato per arrivare ad una sintesi che – per il passato – era culturale, sociale e progettuale. I grandi personaggi della politica italiana, De Gasperi, Togliatti, Nenni, Moro e Berlinguer – e tanti altri di notevole statura – erano nel contempo dei grandi pensatori con una capacità di discernimento non comune in momenti storici della politica non facili. Queste capacità, premessa di una sintesi progettuale e programmatica di tutto rispetto, hanno consentito la crescita complessiva dello sviluppo italiano e la promozione di eccellenze notevoli sul piano economico e produttivo, da tutti ammirate anche oltre i confini del territorio nazionale. Attualmente la mediocrità e la paura hanno generato il ricorso continuo a promesse rassicuranti, attraverso il discorso autoritario- paternalista del “ci pensiamo noi”. Questo nuovo modello di subordinazione psicologica è stato riproposto nell’ultima Leopolda, con una disgustosa e controproducente polemica contro il Pd, come se Renzi non abbia mai avuto a che fare con questo partito. Nel corso dei lavori dell’evento renziano qualcuno ha timidamente parlato di crisi della politica democratica, senza accorgersi che sia banale parlare di “politica in crisi”, mentre, in realtà, è in crisi l’idea democratica della politica come nell’attuale momento politico del nostro Paese. Dalla Leopolda sarebbe stato utile delineare i nuovi elementi di orientamento per aiutarci ad uscire dall’attuale confusione e frammentazione delle compagnie partitiche per progettare una nuova stagione di partecipazione democratica. Partecipazione attiva e responasabile ovviamente, e non egoistica ed occasionale ricerca di spazi altrove non ricevuti, come se la politica fosse una giocata al lotto, alla ricerca di numeri fortunati. Lo stesso discorso renziano del cambiamento “per uscire dalla palude” che fine ha fatto? Non era, forse, l’occasione per promuovere uno sforzo culturale e politico per parlare di un cambiamento che non è solo sociale ma anche antropologico, che ha a che fare con la sfera morale, culturale e spirituale degli italiani attanagliati dallo scetticismo nei confronti dell’agire politico. Renzi avrebbe dovuto considerare che uscire dall’humus culturale e politico di una sua recentissima appartenenza partitica, comportava la necessità e il dovere di indicare nuovi fertilizzanti culturali e politici per offrire un terreno fecondo ove radicare una nuova cultura politica e programmatica per uscire definitivamente “dalla palude” che lui stesso aveva intelligentemente individuato, fino a raccogliere un consenso di notevole livello. Agli amici irpini che hanno affollato la Leopolda, alcuni dei quali conosco e stimo personalmente, mi permetto di ricordare, sommessamente, che il superamento dell’attuale disaffezione per la politica, comporta offrire alla nostra comunità irpina – a partire dai giovani – una nuova e credibile “visione” del mondo, recuperando le motivazioni etiche, civili e sociali che costituiscono il necessario connettivo di un tessuto comunitario capace di sperare progettando il futuro.

di Gerardo Salvatore