L’estro di Peppe Barra nel ricordo di Pino Daniele

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L’estro ed il talento non sono riproducibili, né imitabili, soprattutto quando si incarnano in un personaggio straordinario come Beppe Barra, simbolo di un’anima partenopea che è poesia, musica, colori, vita, ma anche dolore, malinconia, nostalgia per tutto ciò che passa, ed è, per sua intima essenza e natura, unico, irripetibile. Sotto la luna di Sant’Andrea di Conza, il volto di Beppe appare in tutte le sue mutevoli forme, si contrae in una smorfia di dolore, nelle canzoni più tristi, o in una festa di luce in quelle più divertenti, come “la Panzè”, o nell’esilarante “idillio di merda”, dai toni cabarettistici e goliardici. Uno spettacolo che mutua il nome da una delle canzoni più struggenti dell’indimenticabile Pino Daniele “E cammina cammina”, amico fraterno di Barra, a cui l’attore dedicherà un’interpretazione intensa dell’omonima canzone, quasi una poesia nella poesia, in un’assenza che diviene presenza viva, poiché l’amore, come la poesia, non può essere intaccato o ferito dalla morte. Ed è un rimando a Napoli, alla sua lingua straordinaria, quello che l’artista fa sul palco, un rimando venato di nostalgia. «La lingua napoletana, così musicale ed armoniosa, sta scomparendo, non esiste più. Quel napoletano che spesso si sente, quasi gutturale, ha perso i tratti caratteristici della nostra lingua, è qualcosa di incomprensibile. Mentre la vera lingua napoletana è musicale, dotata di una sua interna armonia». Racchiudere in una definizione la performance dell’attore partenopeo è impossibile, ogni suo spettacolo è un unicum, ogni interpretazione, anche dello stesso brano, è diversa, obbedisce all’estro del momento, si modella sulla voce dell’artista, diventa cosa diversa da quella scritta dall’autore, si trasforma in una delle sfumature dell’anima dell’attore. E’ un Beppe Barra che ritorna dopo tempo in Irpinia, e che si rivede, nelle foto allestite nella mostra fotografica del quarantennale, con i tratti del giovane che era negli anni ottanta. «Mi sono commosso nel rivedere quelle foto – ha affermato – allora ero davvero un ragazzo. Ma è stato emozionante ritrovarmi così giovane, con i sogni di allora». Ricorda anche la madre, Concetta Barra, artista di incredibile talento, da cui ha respirato l’estro artistico, ed anche ribadito come personaggi del calibro di Giorgio Gaber, Edoardo e tanti altri, fossero presenze familiari nella sua esistenza. A Gaber ha voluto dedicare uno dei brani musicali giovanili dell’artista “lo shampoo”, interpretato con estro istrionico e con accenti coinvolgenti. “Tammuriata nera”, dedicato a tutte le donne vittime di violenza, che è stato il pezzo che ha concluso lo spettacolo, è divenuto un grido di dolore contro tutte le ingiustizie, il grido di dolore di tutti gli uomini, sotto questa luna di cristallo che ascolta.

Vera Mocella