L’imbroglio del popolo “sovrano”

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Secondo la prassi leninista l’organizzazione dello Stato comunista sarebbe stata così perfetta da consentire a chiunque di guidarla. L’immagine della “cuoca di Lenin” è parte indubbiamente fondativa del corredo apologetico che ha consentito in questi anni al M5s di irrompere fragorosamente sulla scena politica italiana, così come ha costituito il principale elemento di attrazione nei confronti dei movimenti populisti che in Europa, anche in paesi insospettabili come Olanda, Danimarca, Scandinavia, hanno facilmente divelto i meccanismi inceppati della democrazia rappresentativa. Lenin e Stalin naturalmente si guardarono bene dal servirsi di cuoche e cuochi a cui affidare anche i ruoli più marginali, ma la “democrazia” dei Soviet e quella del Popolo Sovrano curiosamente hanno in comune molta roba: l’uno vale uno, il pater-statalismo che livella i bisogni, la dissimulazione che maschera la realtà, gli stratagemmi propagandistici sui confini, dello Stato o del pollaio fa lo stesso, da difendere da un qualche nemico sempre alle porte, fino al “Caro leader” che non si offre più alla devozione di plaudenti politburo ma esercita la sua pervasiva indiscutibile influenza attraverso reti e piattaforme di cui è l’unico a possedere le chiavi. Elementi tipici e comuni di una visione che la scienza della politica non ha remore a definire prossima all’autoritarismo. Il fatto sembra preoccupare poco come attesta la lettura ancora diffusamente descrittiva del fenomeno, che arriva anche a concedere il merito a questi movimenti di aver canalizzato nell’alveo delle istituzioni la protesta e il malcontento montanti. Così facendo si valutano scenari del tutto e comunque nuovi utilizzando strumentazioni già superate. Non viene colta la natura “proteiforme” di un fenomeno che è già più avanti di quanto ci appare. Lo spiegano bene Ilvo Diamanti e Marc Lazar (La metamorfosi delle nostre democrazie, Laterza 2018): il nuovo progetto politico in itinere che si sta costruendo come alternativa secca alla democrazia rappresentativa si chiama popolocrazia. Il popolo che sostituisce la cittadinanza è il mantra dell’impianto che mette il turbo all’avversione generalizzata nei confronti di ogni singola struttura funzione e responsabilità pubbliche, che sfratta le competenze, che fa prevalere il desiderio sulla realtà, che denigra la complessità. Su questo disperato giacimento, la popolocrazia intende costruire il suo nuovo ordine che, è bene ricordarlo a cuoche e cuochi eventualmente in attesa, non prevede fornelli.

di Norberto Vitale edito dal Quotidiano del Sud