L’Irpinia e il Recovery

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Mario Draghi, affrontando il tema dello sviluppo del Mezzogiorno, si è più volte soffermato sul ruolo della classe dirigente meridionale, denunciandone finta sonnolenza, incapacità progettuale e di spesa, complicità con i poteri criminali e quanto altro non aiuta la comunità sana del Sud ad uscire da una condizione di sottosviluppo. La stessa saggistica meridionale più che lanciare la sfida per il futuro, si attarda, purtroppo, a guardare al passato con un lamento stanco a morire. Un esempio lampante, tra i tanti nel Mezzogiorno di questa situazione, si registra in Irpinia, realtà nella quale la classe dirigente è da tempo assente e dove l’esasperato protagonismo dei soggetti in campo è frutto di uno sfrenato individualismo. L’Irpinia da decenni ha smesso di pensare insieme. Non ha punti di riferimento. La politica si coniuga spesso con gli affari. Il clientelismo sopravvive attraverso geni del male che promuovono gli incapaci e mortificano le competenze. La Regione, versione De Luca, si dimostra essere un disastro per le zone interne. Napoli e Salerno sono in realtà serbatoio di consensi e tutto si ferma sull’arenile di Santa Lucia. I rappresentanti irpini eletti nella Regione sono privi di autonomia, balbettano, mentre i territori che essi dovrebbero rappresentare vengono traditi. Con l’Europa il dialogo della Provincia non è mai esistito. Le risorse stanziate dalla Commissione o sono preda del malaffare o vengono gestite dagli studi commerciali che suggeriscono progetti senza una visione complessiva della realtà territoriale. A molte amministrazioni comunali, quando le utilizzano (molto spesso le ignorano), servono a fare rotatorie o marciapiedi. Ora che c’è la sfida delle sfide, il Recovery fund, ciascuno in Irpinia parla il suo linguaggio. I Comuni pensano in proprio, come la Provincia e i sindacati e gli altri enti che operano sul territorio. La babele va in scena. Senza una cabina di regia che possa selezionare bisogni e progetti, anche questa occasione rischia di essere perduta. E sarebbe una grande sciagura.

di Gianni Festa