L’unità che manca alla politica

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Nemmeno il vertice europeo di oggi sarà decisivo pur in presenza della più grave emergenza dal dopoguerra ad oggi.  I tempi per una vera intesa tra i 27 paesi saranno ancora lunghi e in realtà nonostante le tensioni nessuno immagina l’Italia fuori dall’Unione, persino un falco come il Presidente della Bundesbank Weidmann sostiene che con il nostro Paese al collasso si destabilizzerebbe l’intera Europa della moneta unica. Il malessere però all’interno della maggioranza di governo resta ed è legato alla consapevolezza che qualcosa non sta funzionando.  Una babele di centri decisionali, di voci contrapposte e conflittuali in cui si distinguono le Regioni, i comitati individuati dal governo e le tante task force. Il passaggio dalla fase uno alla fase due sta diventando un gigantesco gioco di specchi dominato da tanti pareri discordanti tra loro e troppi si muovono in via autonoma. Troppi a decidere e nessuno decide davvero.  Tutto questo mentre comunque il Presidente del Consiglio sta negoziando con l’Europa sugli strumenti finanziari anti-Covid. Il problema al di là della naturale distanza tra maggioranza e opposizione è tutto interno all’area di governo. Stanno venendo fuori come era inevitabile le profonde differenze tra PD e Cinque Stelle. I democratici hanno da sempre una linea europeista mentre i grillini oscillano. Hanno scelto una linea europeista quando è stata nominata Ursula Von der Leyen alla guida della commissione sono contrari oggi al Mes-Covid ovvero alla dotazione del fondo salva stati cui i governi nazionali possono attingere. I grillini sono contrari perché questa strada porta ad accumulare debito e dunque spalanca la porta al commissariamento del Paese. I Cinque Stelle puntano piuttosto sull’emissione di debito condiviso e su maggiori emissioni della BCE.  E’ possibile che oggi Conte chieda ulteriori chiarimenti sull’assenza di condizionalità alla linea di credito dedicata alla spese sanitarie e anche sulla ripartizione tra spese dirette e spese indirette. Ma il nodo non è tanto tecnico ma politico. La principale ragione d’essere di questo governo, nato sull’onda di una necessità, è proprio quello di costruire un rapporto di fiducia con l’Europa, una linea alternativa a quella portata avanti dai sovranisti che puntano invece a demolire l’attuale edificio europeo. Se questa linea viene meno, non ci sono più le ragioni dello stare insieme tra PD e Cinque Stelle ma quest’ultimi continuano ad inseguire Salvini e la Meloni perchè spaventati da un elettorato che li ha votati e potrebbe non farlo più. Conte ha bisogno non solo di una maggioranza coesa ma di un Paese alle spalle per condurre il difficile negoziato sulla battaglia per gli eurobond.  Il clima però non è quello dell’unità nazionale spesso evocato ma mai realizzato. Il direttore dell’Espresso Marco Damilano ha scritto che “dopo l’otto settembre del 1943, la dissoluzione dello Stato, la fuga dalla monarchia, l’abbandono delle forze armate agli invasori, la divisione del territorio nazionale, arrivò il 25 aprile, il momento del riscatto e della rinascita. Il 25 aprile del 2020 non sarà una giornata di impossibili manifestazioni ma di una comunità che regge con pazienza in condizioni potenzialmente disperate, nell’isolamento e spesso nella solitudine condivisa anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non c’è retorica, non ci sono inni nazionali da cantare affacciati dai balconi, c’è il silenzio, la pietà, l’impegno a ricostruire insieme un tessuto civile che rischia di essere spezzato dalle conseguenze del dopo virus”.  Ma se un clima da 25 aprile c’è nel Paese non c’è invece tra i palazzi della politica. Più che ad una ripartenza con uno stile diverso si guarda alla mediocre normalità del recente passato. Una classe politica ossessionata dal presenzialismo e incapace di rinunciare alle piccole polemiche quotidiane.

di Andrea Covotta