Magistratura e politica: il conflitto

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Si è riaccesa la guerra tra magistratura e politica. Un conflitto che tra fasi alterne, sconfitte forzate e tentativi di rivincita, ha avvelenato l’intera seconda Repubblica. Arresti e inchieste, tra cui quella Consip – che coinvolge il padre di Renzi e il ministro Lotti – hanno esasperato gli animi degli esponenti della classe politica. Alimentato i sospetti. E perciò rafforzato l’onda lunga dei desideri di rivincita. Di questi atteggiamenti malnascosti, pronti a esplodere con fragore,sono stati prove il voto sulla mozione di sfiducia a Lotti e le chiassosissime, plateali manifestazioni di gioia per la scandalosa negazione da parte del Senato della decadenza di Minzolini, condannato in via definitivo per peculato. La diffusa esultanza, i baci e gli abbracci rivolti da esponenti di vari partiti all’ancora senatore, sono andati ben al di là delle manifestazioni affettuose per la permanenza in carica di un collega. Forti i sospetti di un inciucio. Avvalorato dall’improvviso cambio di atteggiamento parlamentare di FI su Lotti. Dai molti voti di coscienza individuali e dalle troppe assenze e astensioni nel Pd su Minzolini. Fino a configurare qualcosa di molto più significativo. Un forte segnale politico, indicativo di una insofferenza trasversale covata da tempo verso la magistratura, esplosa infine in un gesto liberatorio, quasi di ritrovata indipendenza. E’ stata comunque un’altra pagina nera nella storia parlamentare italiana. Forse in assenza di un accordo esplicito, si è manifestata tuttavia una forte convergenza di interessi e di intenti. Sono prevalse o le ragioni dell’appartenenza politica o le convinzioni del singolo parlamentare, però non su un (inesistente) fumus persecutionis da parte della magistratura ma sulla colpevolezza o sulla innocenza del condannato (come una sorta di giudizio di quarto grado da parte di un tribunale speciale, inammissibile in uno Stato di diritto). Perciò essa è apparsa ingiustificata e intollerabile agli occhi dell’opinione pubblica. E accrescerà ulteriormente la sfiducia e la rabbia dei cittadini verso la classe politica. Non è stato un buon affare per il Pd . Per ora ha portato a casa la salvezza di Lotti. Però ha indebolito ulteriormente le basi etico-morali della sua azione politica. Ha contraddetto lo stesso presunto decisionismo del suo leader, non apparso capace di proporre scelte politiche chiare su una normativa così delicata. E ha fatto un grosso favore al centrodestra, apparso più coerente nel suo garantismo formale. E più forte dell’argomento – con tutte le conseguenze – che la Severino è stata applicata solo per liquidare il leader dell’opposizione Berlusconi. Perciò anche più speranzoso nella sua possibile rimessa in gioco da parte della Corte europea e in una futura vittoria elettorale. In questi anni, il mondo politico non ha avuto il coraggio di intraprendere la strada maestra. Quella di sanzionare seriamente i politici corrotti. E preservare le istituzioni dalla perdita di prestigio derivante da arresti e da indagini a carico degli eletti. Certo, assicurando i diritti delle persone e il rispetto della funzione elettiva. La legge Severino si è dimostrata inadeguata e frutto di troppi compromessi. Solo che la prospettiva di punire ed emarginare davvero i corrotti fa venire la pelle d’oca all’ attuale classe politica. Incapace di capire che la sua residua credibilità dipende innanzitutto da quello che farà per placare l’ira dell’opinione pubblica. Ancora una volta la politica ha giocato di furbizia. Ha manifestato solo esplosiva insofferenza nei confronti della magistratura. Con cui non mancano certo le questioni da risolvere, a cominciare dai magistrati per decenni fuori ruolo che, non più parlamentari, possono trovarsi a giudicare i loro colleghi, magari ex avversari politici. L’attuale clima da resa dei conti, tuttavia, rischia di aprire un’altra sanguinosa stagione di incomprensioni e contrapposizioni. E in un periodo in cui il Paese non ne avrebbe davvero bisogno!
edito dal Quotidiano del Sud