“Come sei vestita?”, Arci e Soma in campo: combattere stereotipi e pregiudizi per costruire una città a misura di donne

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Sono tailleur, maglie a collo alto, pantaloni lunghi o semplici jeans, raccontano come la violenza di genere non abbia nulla a che vedere con l’abbigliamento, come possa avvenire ora sul luogo di lavoro, ora nella propria casa, il luogo considerato più sicuro. Sono tante le storie che si snodano a partire da quei capi di vestiario,  dal giovane brillante e divertente che ci accompagna a casa e può rivelarsi un carnefice al compaesano che finge di voler aiutare la giovane straniera senza permesso di soggiorno per poi abusare di lei. E’ un messaggio forte quello che lancia mostra “Come ti sei vestita?”, inaugurata questa mattina alla Biblioteca Provinciale di Avellino.  Una mostra promossa da Arci e Soma, in collaborazione con Legambiente e Provincia, curata da Amnesty International. L’ispirazione è rappresentata da un poema di Mary Simmerling “What I was wearing”, in cui si raccontano storie di violenza sessuale attraverso i vestiti che le donne indossavano al momento in cui ne sono state vittima. A caratterizzare l’incontro un reading contro la violenza di genere con Rosaria Carifano, Maria Laura Amendola, Elena Russo, Rosanna Maryan Sirignano.

E’ Sara Plutino di Arci a spiegare come “L’idea della mostra nasce dalla consapevolezza che esiste un problema nella nostra società, legato a stereotipi e pregiudizi che ancora caratterizzano le relazioni tra uomo e donna. Siamo oggi ad Avellino ma speriamo di portare questa mostra in tutta la provincia e nelle scuole. Quello che proponiamo come Arci è  un percorso differente contro la violenza di genere, a partire dall’informazione e da un modo diverso di fare cultura, fatto di spettacoli teatrali, presentazioni di libri, mostre e laboratori con i piccoli. Di qui il coinvolgimento di alcune scrittrici che chiedono insieme a noi un cambiamento culturale”. Ribadisce come Avellino “non è oggi una città a misura di donne. Ecco perchè cerchiamo di far sentire la nostra voce, proviamo a cambiare lo spazio in cui viviamo, a chiedere qualcosa di diverso”. Spiega come “Non è solo questione di servizi che potrebbero aiutare le donne nel loro lavoro di cura, il problema è anche di urbanistica. Il 28 marzo, insieme a Legambiente, discuteremo di cosa significhi una urbanistica che vada in direzione delle pari opportunità, di cosa rappresenti vivere in una città sicura che ci consente di uscire per strada a qualsiasi ora, senza la paura di subire molestie”. Sottolinea come “attraverso questa mostra abbiamo voluto dimostrare che il modo in cui ci si veste non incide sulla possibilità di subire molestie o abusi, la violenza avviene per mano di una persona che si sente in dritto di decidere del corpo di una donna, indipendentemente da come è vestita. Si tratta di un pregiudizio da combattere come le credenze relative al concetto stesso di violenza, che va al di là di quella puramente sessuale”

E’ la consigliera provinciale Laura Cervinaro a ribadire come “Quello della violenza di genere è un fenomeno che va combattutto piantando semi preziosi che generano frutti dentro ciascuno di noi. Quello che serve è mantenere alta l’attenzione sul tema, educare le future generazioni al rispetto di qualsiasi genere. Le istituzioni sono chiamate a fare la propria parte sostenendo iniziative come queste e formando le coscienze. Ma la strada è ancora lunga”

E’ la scrittrice Rosanna Sirignano a spiegare come “Ho scelto di leggere alcune storie di donne arabe che nel nostro paese incontrano difficoltà nel denunciare violenze subite. Temono di rafforzare il sentimento islamofobo che vede la religione islamica associata alla violenza mentre l’unica vera violenza è il patriarcato ed è trasversale a tutte le religioni. Al tempo stesso, ho cercato di far comprendere quello che significa per tante donne portare il velo, in molti casi è solo un meccanismo di difesa. Quello che le opprime non è il velo ma un sistema sociale che trova la propria radice nel patriarcato”. Ricorda le donne di Gaza “Assistiamo a una tragedia senza precedenti. Vogliamo ribadire oggi che ‘O siamo libere tutte o non è libera nessuna”. Oggi, più che mai, sono convinta che il rispetto va al di là di ciò che sappiamo, abbiamo bisogno di tornare all’umanità, non c’è bisogno di sapere dove si trova la Palestina o cosa significa cultura araba, c’è bisogno di riscoprire un principio di umanità, riconoscere che l’altro è uguale a noi”

E’ la giornalista Rosaria Carifano a ribadire come “Il principio base è che se una persona viene rapinata  non è mai colpa della persona ripanata, non si mette dubbio che sia stata assalita da qualcuno, mentre se una donna viene molestata, viene fuori un ventaglio di scuse e giustificazioni che non mette in dubbio l’atto dell’assalitore ma pretende di giudicare il comportanento della donna. E’ una mentalità patriarcale che deve finire, a partire dall’educazione, ci insegnano che dobbiamo avere paura del nostro corpo, che siamo naturalmente una provocazione davanti alla quale gli uomini non possono resistere e sono autorizzati a fare quello che vogliono, dalla battutaccia al passaggio alle molestie. Sono troppe le giustificazioni tirate in ballo per difendere gli uomini e colpevolizzare le donne”. E sulla città di Avellino “Non è a misura di donna perchè la società in cui viviamo non lo è, è un piccolo laboratorio di ciò che avviene in altri posti. Oltre all’assenza di servizi, a partire da strutture come gli asili nido che aiutino le donne nei compiti di cura, ad Avellino e in Italia le donne continuano a non considerate. Anche partiti e sindacati che si dicono progessisti, dal giorno successivo all’ 8 marzo convocano tavoli a cui sono invitate solo professionalità maschili. E quando si parla di quote rosa, ci sentiamo rispondere che la partecipazione delle donne va garantita per merito e non per genere. Ma non è quello che succede con gli uomini che sono scelti, molto spesso, non per le loro qualità ma perchè si conoscono tra loro. Solo alle donne è richiesta la massima eccellenza”

La giornalista Elena Russo ricorda la storia di una ragazza irpina, le cui foto sono finite nei gruppi di Revenge Porn su Telegram. “Si trattava di foto normalissime, da lei pubblicate sui social e poi postate sui gruppi di Revenge Porn per vendetta da un ragazzo che lei aveva rifiutato, così da diventare oggetto sessuale. Dobbiamo fare i conti con i pericoli della rete che diventa spazio in cui si compiono continuamente atti di violenza da parte di ex partner che condividono contatti telefonici. In questo modo tante donne finiscono all’interno di una shit storm, basti pensare alla terribile storia di Tiziana Cantone, che aveva condiviso col partner immagini intime, poi da lui rese pubbliche. Purtroppo, in un mondo interconnesso come quello in cui viviamo la violenza è anche on line”

Sarà possibile visitare la mostra dal lunedì al sabato, ogni pomeriggio, dalle 15:30 alle 19:20. Le attività di Arci e SoMa proseguiranno in un lungo percorso con altre due prossime iniziative: il 27 marzo, presso il Circolo Arci Avionica, con il confronto sulle tematiche dell’urbanistica di genere insieme alla realtà di Legambiente Regionale e il circolo locale L’Alveare; il 12 aprile, presso il Circolo Arci Fortapàsc di Atripalda, dove a grande richiesta verrà riproposto lo spettacolo Brucio D’Amore della compagnia teatrale romana PartecipArte.