“Potrebbe trattarsi di ali”, storie di donne che resistono

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La raccolta di racconti di Cirillo, l’universo femminile tra paura e desiderio di cambiamento

 

Sono corpi che non riescono a sottostare ai vincoli imposti dalle convenzioni sociali, dalle sofferenze della vita, che chiedono insistentemente di essere ascoltati, corpi femminili che diventano ossessione, conforto, consolazione, condanna. A raccontarli Emilia Cirillo nella bellissima raccolta “Potrebbe trattarsi di ali”, L’Iguana, in cui ancora una volta come già nel precedente romanzo “Non smetto di avere freddo”, sembra stabilirsi un legame fortissimo tra spazio esterno e carne dei personaggi, come se la città di Avellino, abbandonata, feria e immobile, che fa da sfondo alle storie diventasse specchio delle anime insoddisfatte dei protagonisti. “Le mie passeggiate – racconta Agnese in “Fuori misura” – sono rapide incursioni in una città fatta a pezzi e poi ricomposta secondo un disegno sgraziato. Un terremoto che a giorni compie quasi quarant’anni ha lasciato vistose cicatrici: un marciapiedi tutto buchi, cacca di cane impastata con il tufo, aree edificabili invase da roveti e, dovunque, edifici ricostruiti con un piano in più”. Il capoluogo è ridotto in macerie come il cuore delle protagoniste. Così è per Colomba, cinquantacinque anni, sposata con un marito che ama, due figli lontani, rigida fino al midollo e incapace di accettare ogni follia o pulsione, come se il guinzaglio a cui porta il suo cane tenesse prigioniera anche lei.  La vita comincia a chiederle il conto e il conto è un dolore strano e cronico che avverte al di sotto delle scapole, un dolore che non sembra volerla lasciare in pace, un dolore che è forse solo il modo in cui la sua anima chiede aiuto, poiché Colomba, da quando i figli sono partiti, continua a sentirsi sola e insoddisfatta, con giornate scandite da passeggiate e letture, come a voler ingannare il tempo che non passa mai. Colomba sente che il suo corpo sta cambiando, fino a chiedersi se quelle bozze al di sotto delle scapole non siano piuttosto delle ali che le stanno spuntando. Lei che si chiama Colomba ma non ha mai volato, che non si è mai sentita libera, che non accetta l’amore tra le sue due domestiche o gli eccessi del figlio, scoprirà attraverso il confronto con un’altra donna, anche lei costretta a fare i conti con la sofferenza del figlio lontano, ad esprimere ciò che sente, il valore del calore e della solidarietà che può unire, che non c’è nulla di male nel piangere, nel dare voce e corpo alle emozioni. Basta una frase, "Ccore mio", per risvegliare la sua anima spenta, poichè le parole sono potenti e parlano all’anima. Ed è forse attraverso quel calore che potrà recuperare il rapporto con i figli partiti per inseguire i loro sogni ma  anche per prendere le distanze da lei e dalla sua rigidità. Poiché, come nella citazione posta ad epigrafe del racconto, è sempre possibile ricominciare “Mia madre ha cominciato a vivere,  a lasciarsi andare, a reinventarsi a cinquantacinque anni”. Sono donne di carne e gonfiabili, come Rebecca, la soul doll con il suo corpo perfetto che riempie la vita di Camillo, visceralmente legato a un’altra donna, la madre, che scompare all’improvviso lasciandolo solo, Rebecca è obbediente e comprensiva, ma anche lei destinata a portare i segni del tempo, disfacendosi un po’ alla volta, tutta plastica e niente sangue. Donne come Agnese, “Fuori misura”, come recita il titolo del racconto, con un corpo troppo grosso e sgraziato per poter realizzare il suo sogno di diventare mannequin, di essere come Grace Kelly, per essere finanche una commessa in quei negozi le cui vetrine non si stancava mai di guardare “Io sono uscita fuori misura. Sono andata oltre ogni immaginazione genetica in quanto a formosità. Sono over, come un soufflé che, fidando nella capacità contenitiva del ruoto, ha debordato dal forno”, un corpo che le ha impedito di diventare tutto ciò che ha sempre sognato di essere. E così non resta che la Rete per fare finta di essere davvero come Grace, come se quel corpo non esistesse.  Ma sono anche donne capaci di reagire, se Agnese non può diventare mannequin, potrà essere almeno stilista, costretta a confrontarsi con i corpi perfetti delle modelle, a fare i conti ancora una volta con il fallimento e a ricominciare un’altra volta. Poiché le figure femminili di Cirillo non hanno paura di mettersi in gioco, proprio come Laura, la protagonista di “Così ti passa la paura”, anche lei donna provata fortemente dalla vita, in cerca di un nuovo senso per la sua esistenza, licenziata dall’agenzia di viaggi per la quale lavorava, ferita dal dolore forte della perdita del proprio marito, cerca di riannodare i fili della memoria per trovare sé stessa, inseguendo l’ombra di una vecchia amica d’infanzia, Bianca che vive a Licosa. L’idea è quella di organizzare insieme a lei che abita in una località di mare e ha sempre vissuto di turismo pacchetti e itinerari ma scoprirà una realtà differente, la vita di chi come la straniera Maria Fatima è morta nel tentativo di approdare sulle coste italiane e di chi come Bianca si prende cura dei suoi figli. Poiché Bianca ha scelto di dedicare la sua esistenza a salvare altre vite, come quelle dei migranti sui gommoni. Racconti capaci di dimostrare che la quotidianità può fare paura ma sorprende sempre, permettendoci di scoprire ciò che è altro da noi, e ci sorprende proprio attraverso il confronto con altre vite. Poiché le nostre vite, ci ricorda l’autrice, sono legate le une alle altre e basta una parola per illuminare o accendere un’ossessione, come accade a Giovanna e Natalina, il solo sentir parlare di quell’autrice canadese, Alice Munro, evoca in lei il dolore per quel marito lontano. Cirillo ci insegna che ogni donna trova un modo differente per reagire al dolore, ad una vita che non sente come propria, ad un corpo che non riconosce, fino ad inventarsi una vita non vera, un marito partito per un luogo al di là del mare. A vibrare nei racconti la luce di Alice Munro, nume tutelare di Cirillo, con le sue storie di drammi quotidiani, in cui è facile ritrovare una parte di noi, proprio come quelle di “Potrebbe trattarsi di ali”, in cui la scrittura delle donne diventa espressione, come vuole Munro, di quegli spazi dimenticati, censurati, rimasti troppo a lungo in silenzio. Cirillo con il suo linguaggio caldo e insieme accurato sembra aver appreso la lezione della scrittrice canadese, come fossero due anime sorelle, “Avevo la sensazione che solo le donne riuscissero a scrivere di cose marginali, strane, anomale”.