Questa brutta legge elettorale

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Dopo le elezioni del 2108 anche stavolta si voterà con il cosiddetto “rosatellum”, una brutta legge elettorale così come la precedente ribattezzata “porcellum” dal suo stesso ideatore Roberto Calderoli. La legge attuale è un mix tra maggioritario e proporzionale con liste bloccate e dunque senza la possibilità per l’elettore di esprimere una preferenza e rispetto al passato c’è la novità della riduzione del numero degli eletti, si passa da 945 a 600 parlamentari. Il “rosatellum”, inoltre, per via dei collegi maggioritari, “costringe” i partiti a mettersi insieme, a formare dei cartelli elettorali che difficilmente, come la storia recente insegna, sono poi adatti a governare il Paese. L’esperienza del passato ci ricorda che per l’elezione del Parlamento il nostro paese ha utilizzato, nei primi 45 anni della sua storia repubblicana, un sistema proporzionale puro che ha dato un grande potere ai partiti e alle Camere e molto meno ai governi che infatti sono stati tantissimi. La situazione però non è affatto migliorata dal ’94 ad oggi quando tutte le riforme sono state orientate verso il collegio uninominale o il premio di maggioranza. In realtà è cresciuta la distanza tra eletto ed elettore, la rappresentanza è di fatto diventata rappresentazione dei vari leader di partito che hanno, attraverso l’eliminazione delle preferenze, stilato tutte le liste. Risultato aumento dell’ingovernabilità, del trasformismo parlamentare e una frammentazione politica senza precedenti. E’ difficile oggi contare quanti siano i partiti o i movimenti che spesso si richiamano ad un singolo leader, quasi nessuna di queste forze politiche si presenta da sola e la maggior parte entra in una coalizione provando a far valere la sua piccola percentuale. Il costituzionalista Michele Ainis ha detto che ormai siamo in presenza di una “capocrazia” ossia un regime di poteri individuali che ha soppiantato la democrazia costituzionale e trasformato il Parlamento in un luogo che ha perso autorità e prestigio. In questa situazione in ogni alleanza elettorale non c’è un “ubi consistam” ma solo un meccanismo che prevede di stare insieme per necessità e non per convinzione. Questo vale sia per il centrodestra, favorito dai sondaggi, ma con tre forze che si marcano a distanza e sono in concorrenza tra di loro su temi e leadership, e ancor di più vale per il centrosinistra dove sono insieme solo con l’idea della contrapposizione alla destra. Fuori dai poli principali è finito il Movimento Cinque Stelle che dopo aver governato con tutti ha terminato la sua parabola con il ritorno alla solitudine originaria. La pandemia, la crisi sanitaria ed economica e oggi la guerra con le sue conseguenze hanno gonfiato le vele della Meloni che in questi anni è rimasta l’unica sempre all’opposizione mentre a rimetterci sono stati proprio i Cinque Stelle che hanno raggiunto il loro massimo nel 2018 e poi hanno pagato il loro stare al governo, criticare è molto più semplice rispetto alla fatica di governare. La contraddizione delle democrazie, non solo quella italiana, è proprio questa i malumori e la rabbia della società trovano uno sfogo temporaneo in un movimento politico che una volta al governo deve fare i conti con vincoli economici e geopolitici a partire dal peso dell’Europa o della Nato che comporta una naturale cessione di sovranità, e con la difficoltà di compiere scelte a volte impopolari. Si può affermare, ad esempio, come è stato fatto, di aver abolito la povertà con il reddito di cittadinanza ma ovviamente non poteva e non può essere vero. Come ha scritto Antonio Polito l’unica ricetta utile che hanno “le democrazie occidentali è quella di prosciugare lo stagno in cui nuotano radicalismi e populismi, attraverso leadership capaci di rispondere alla rabbia degli elettori”.

di Andrea Covotta