Renzi e la crisi del Pd

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Renzi, in caduta libera dopo lo scandalo Consip, rischia di trascinare con sé il Partito democratico, tra scissioni, tesseramenti gonfiati, avvisi di garanzia. Lo scrive Ezio Mauro su Repubblica. Dopo la sconfitta del referendum la sua smania di rivincita e di riconquistare il partito prima ed il governo poi, dopo un congresso velocizzato, che dovrebbe capitalizzare a suoi favore il 40% dei SI, rischia di arrestarsi per lo scandalo Consip nel quale è incappato anche suo padre, il ministro Lotti ed altri amici del giglio magico, che per l’Espresso è diventato “giglio nero”. Se gli episodi di corruzione o di “traffico di influenze” sono tutti da provare dalla magistratura inquirente resta la gravità della contiguità di personaggi a lui molto vicini con gli affari e gli appalti dai quali la politica dovrebbe esserne fuori. E per chi avrebbe voluto rottamare il vecchi metodi con i relativi personaggi, resta un vulnus gravissimo sul quale è bene fare chiarezza. Invece punta diritto sul congresso ripartendo dal Lingotto di Torino dell’ultimo Veltroni e del suo “I care” che per lui assume il significato di ripartire alla grande. Una sua più che probabile vittoria in un congresso dove possono votare anche i passanti, chiuderebbe i conti nel partito senza fare prigionieri e continuerebbe ad emarginare l’opposizione interna non rientrando nel suo carattere l’azione di composizione delle differenze. Cosa faranno allora i vari Cuperlo, Damiano, Emiliano? Ci staranno a rimanere fuori dalle liste, se la legge elettorale – come è facile previsione- manterrà i capilista bloccati, e a rimanere esautorati in un partito sempre più a conduzione personale ed autoritaria e dai principi marcatamente liberistici, o se ne andranno anche loro? Se, invece, il processo mediatico continuerà e la posizione dei suoi sodali del “giglio magico” si aggraverà e, per caso, perderebbe la segreteria, è pensabile che se ne starà con le mani in mano in un’opposizione rispettosa della nuova dirigenza? Il personaggio non appare garantirlo e la battaglia nel partito sarà senza esclusione di colpi, perché una cosa è certa non ci starà a fare il secondo di nessuno. Le premesse non sono confortanti: non ha metabolizzato le ragioni della sconfitta né ha favorito o permesso alcuna discussione nel partito sulle possibilità di riagganciare, almeno in parte, coloro che si sono allontanati. La scissione di Bersani ed Epifani (due ex segretari) con Speranza, Rossi – non sufficientemente analizzata dalla stampa e dagli opinionisti politici- non è stata né improvvisa né presa a cuor leggero. Far perdere la pazienza al mite Bersani e farlo allontanare dalla sua “ditta” è stata impresa del tutto “renziana”. Anzi c’è da meravigliarsi che sia avvenuta così tardi essendo da tempo cominciata la diaspora di personaggi come Cofferati, Fassina, D’Attorre, Civati. Quanto sta succedendo nel PD non è cosa di poco conto: Renzi ne ha cambiato il DNA, ne ha fatto un partito personale allontanandosi dai principi costitutivi e, dopo un illusorio incremento elettorale, dovuto alle speranze stimolate di tanti elettori, lo ha riportato a successive sconfitte, fino a quella, cocentissima, del referendum, anche per un’azione governativa nella quale i fatti non sono seguiti agli slogan. Le ragioni di fondo e dichiarate, che hanno condizionato la scelta di Bersani e compagni, sono da individuare in un comportamento di Renzi e della sua maggioranza che, di fronte ad una nuova destra, che sta emergendo, sovranista, identitaria e di protezioni, sta rispondendo con proposte di vent’anni fa e che il PD “ha smarrito buona parte del suo progetto originario, che era fondato su una ispirazione ulivista e popolare”. Per Cacciari, il PD non è mai nato perché le due culture, quella cattolica e quella social- democratica, non si sono mai fuse. Ne prese atto Veltroni che si dimise e da allora non sono stati fatti passi avanti neanche sotto il pragmatismo bersaniano. Renzi ha cambiato la fisionomia del PD collocandolo al centro con un occhio al liberismo di destra. Quella di Speranza, Bersani, D’Alema, Rossi più che una scissione è una presa d’atto, riprendendo una frantumazione che sicuramente non si arresterà. In periferia molti amministratori locali, membri di segreterie provinciali e regionali, stanno lasciando il partito. In Irpinia se ne sono andati l’ex onorevole De Simone, il presidente delle Acli Mimmo Sarno, Francesco Todisco, Adiglietti, l’ex senatore Flammia e tanti altri. Il professore Anzalone dice che la scissione per rincorrere gli elettori che se ne sono andati “è una sciocchezza di metafisica grandezza”; basterebbe correggere la linea politica. Appunto! E Renzi che non lo vuol fare né si dimostra capace di farlo per carattere e per cultura politica. Non ha metabolizzato la sconfitta, si ripresenta con un congresso finto, senza neanche rispondere ai suoi avversari interni; va in California a trovare i magnati della Silicon Valley, non risponde alle domande sul Consip e va avanti come un ariete giocandosi il tutto per tutto senza riflettere che potrebbe andare a sbattere..
edito dal Quotidiano del Sud