Sanità in Irpinia, la regionalizzazione non ha dato i risultati sperati: lo stato di salute nel report della Provincia

Pronto soccorso in affanno, carenze di organico, liste di attesa ancora troppo lunghe. La sfida è riaprire il dibattito sull'organizzazione dei servizi

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Arriva dalla delegata alla sanità della Provincia di Avellino un report sullo stato di salute del sistema sanitario in Irpinia. “L’obiettivo – si legge nella presentazione del report  della delegata alla sanità territoriale della Provincia Nomei Aurisicchio- è quello di aprire un dibattito e un confronto pubblico su come vengono erogati i servizi sanitari, come viene svolta l’assistenza e come agiscono la prevenzione ed i controlli nella nostra provincia. Vogliamo farlo, a partire da questa estate, promuovendo una campagna di ascolto attraverso assemblee territoriali ed incontri specifici con gli amministratori locali e le parti sociali, con le associazioni dei lavoratori della sanità e con le associazioni che rappresentano i malati ed i fruitori dei servizi”.

Si sottolinea come “Cresce nel paese l’allarme circa la sostenibilità del Servizio sanitario Nazionale (SSN). Si teme che possa essere definitivamente a rischio il diritto, garantito dalla Costituzione, alla salute, alla cura e all’assistenza. Già oggi in tanti, di fatto il 7% della popolazione, per lo più anziani ed appartenenti alle classi più povere, scelgono di non curarsi perché non ne hanno le possibilità economiche. Crescono i tagli alla sanità pubblica (la spesa per la sanità è ferma al 6% del Pil, quasi la metà della Germania, un terzo in meno di Francia ed Inghilterra), diminuiscono i servizi e la loro qualità, si allungano le liste di attesa, mancano medici ed infermieri, e tutto questo accade mentre si accresce sempre più il ruolo dei privati. Servirebbero almeno 8 miliardi in più sul Fondo sanitario Nazionale, ma non ve ne è traccia e per ora ci sono solo i tagli decisi a livello centrale dal governo che impediscono ogni intervento.

Non è il problema di una sola Regione o di una parte del paese rispetto alle altre. Secondo il rapporto reso pubblico nei giorni scorsi da CREA Sanità tutte le Regioni sono abbastanza distanti dal raggiungere il livello ottimale delle prestazioni e dei servizi sanitari e sono comunque al di sotto dei livelli che mediamente vengono raggiunti negli altri paesi europei. Fatto cento il livello ottimale, le regioni che hanno fatto meglio sono comunque sotto il 60% (Veneto 59, Trento 55, Bolzano 52). Seguono via via le altre fino a raggiungere la coda dove si ritrovano tutte le Regioni meridionali, tutte sotto il 32%, compresa la Campania. Di fatto per i cittadini meridionali e della Campania ci sono standard di prestazioni dei servizi sanitari pari alla metà di quelli riservati al Veneto, alla Lombardia, all’Emilia Romagna. La graduatoria è la prova che la regionalizzazione della sanità non ha dato i risultati sperati e che è profondamente sbagliato continuare ad insistere in questa direzione, come si vuole fare con l’Autonomia differenziata. Il diritto alla salute deve valere allo stesso modo su tutto il territorio nazionale e non può essere segmentato a seconda della regione dove ci si trova a vivere”.  Pubblichiamo di seguito il report

Sanità Territoriale e Medicina di Base

 Con la pandemia si era detto che niente poteva rimanere come prima, che occorresse invertire la tendenza rimettendo il territorio e la prevenzione al centro. Nel PNRR fu definito il modello delle case di comunità come strutture dove i cittadini dovrebbero accedere in prossimità ai principali servizi di base, alleggerendo così i Pronto soccorso.

È stata prevista la realizzazione di 1350 case di comunità sull’insieme del territorio nazionale con una spesa complessiva di 2 miliardi di euro, cui va aggiunto un ulteriore miliardo per 400 ospedali di comunità.

In Campania è prevista la realizzazione (entro il 2025) di 169 Case di Comunità, 45 Ospedali di Comunità, 58 Centrali operative territoriali, per una spesa complessiva di 380 milioni di Euro.

In Irpinia il piano di sanità territoriale prevede la realizzazione di 10 Case di Comunità (Moschiano, Monteforte Irpino, Lioni, Lapio, Bisaccia, Fontanarosa, Avellino, Castelbaronia, Montecalvo, Montoro), 3 Ospedali di Comunità (Avellino, Moschiano, Monteforte Irpino, cui va aggiunto l’ospedale di Bisaccia riconvertito come tale nell’ambito della programmazione del Progetto Pilota), 4 Centrali Operative Territoriali ( Avellino, Vallata, Monteforte, Moschiano) per il coordinamento degli interventi.

A che punto siamo in Campania ed in Irpinia? Se ne sa poco. Di recente il Direttore dell’ASL Ferrante ha parlato della necessità di una accelerazione in atto per avviare gli appalti nei prossimi mesi, segno che sono stati accumulati consistenti ritardi. In realtà siamo in ritardo, non solo in Campania ed in Irpinia ma in tutto il paese. Si parla di rinvio del termine previsto per il varo degli appalti nel mentre da alcune fonti (Corte dei Conti, Ufficio parlamentare di Bilancio, Istituti di ricerca ed Esperti) viene lanciato l’allarme che non solo non sarà possibile concludere entro 2026 come era previsto, ma che addirittura tutto possa rimanere incompiuto. Mancano risorse e manca personale, medici ed infermieri soprattutto. Ci vogliono soldi per completare il piano e soprattutto ci vogliono risorse ordinarie per far funzionare le strutture una volta completate, in modo da dare continuità ai servizi di assistenza e all’impiego di personale qualificato. A tutto questo bisogna aggiungere l’opposizione dei medici di base che, proprio di recente, hanno ribadito al Ministro della Sanità la loro indisponibilità a transitare alle dipendenze del SSN e a collaborare con le strutture della sanità territoriale, come richiesto dalle Regioni e dagli amministratori locali. Non solo, quindi, sono a rischio i piani per il rafforzamento futuro della sanità territoriale ma si va indebolendo la qualità dei servizi oggi in atto. Cominciano a farsi frequenti i casi di territori privi dell’assistenza del medico di base con intere comunità a rischio di essere abbandonate a se stesse. Servirebbe ridare prestigio e maggiore riconoscimento sociale ed economico al medico di medicina generale alle dipendenze del SSN e servirebbe una sburocratizzazione e una organizzazione più efficiente e coordinata, finalizzata ad avvicinare il medico alle esigenze dei pazienti. A monte bisognerebbe alleggerire il corso di Medicina di Base, riducendone la durata e alternando lo studio a stage di formazione in ospedale o presso medici di medicina generale. I medici di medicina generale restano decisivi per l’attuazione di qualunque piano di medicina territoriale, a maggior ragione per il piano contenuto nel PNRR. Per questo è imprescindibile il superamento dell’attuale regime di convenzione ed il transito alle dipendenze delle ASL. Identico discorso vale soprattutto per i tanti medici di continuità assistenziale (Guardia Medica) che andrebbero reclutati a sostegno del SSN.

Dipartimento di Prevenzione

 Da più parti si segnala la necessità di destinare maggiori investimenti, con più risorse e più personale, alla prevenzione e ai controlli. Questo perché tutti i servizi ad oggi sono in difficoltà e vanno quindi rafforzati: veterinari, igiene e sanità pubblica, profilassi, igiene degli alimenti, sicurezza e medicina del lavoro, registro tumori.

Per anni il Dipartimento di prevenzione, quando i tagli sono stati molto pesanti, è stato il fanalino di coda delle asl: nessun investimento, nessuna nuova risorsa e pochi mezzi. Tutto questo ha fatto in modo che l’azienda sanitaria si occupasse non adeguatamente della prevenzione, accumulando ritardi ed inefficienze. Il registro tumori ha subito un’importante accelerata negli ultimi mesi ma a fine 2022 era fermo al 2015. Per essere utile il registro tumori deve fornire dati aggiornati altrimenti non ha senso ragionare oggi su dati molto datati, sarebbe come prescrivere una cura su una radiografia di 7 anni fa.

I medici di medicina generale, grazie all’informatizzazione, hanno nei loro ambulatori un’infinità di dati sanitari sulla popolazione. Questi dati per ora hanno solo la finalità di verifica dell’appropriatezza delle prescrizioni e quindi della spesa. Sarebbe invece molto utile che tutta la mole dei dati sanitari venisse elaborata in sede centrale per capire in quale parte del territorio è più utile fornire risposte in termini di salute. Affinché questo sia possibile è necessario stabilire un positivo feedback tra i medici di medicina generale e l’ASL. Pertanto sarebbe necessaria una costante attività di aggiornamento e di orientamento di tutto il personale sanitario.

Il registro dei tumori è la lista dei morti per cancro. I dati sanitari sulla popolazione sono invece la rappresentazione evidente delle patologie prevalenti, sulle quali il decisore politico è chiamato ad intervenire con risposte in termini di maggiore attenzione terapeutica ma anche di prevenzione primaria.

Sarebbe utile che il Dipartimento di Prevenzione avviasse indagini epidemiologiche mirate in alcune aree critiche del nostro territorio. Sono note a tutti le criticità dell’area montorese-solofrana, quella della valle del Sabato e alcune aree della Bassa Irpinia. Questo perché se valutiamo l’Irpinia nel suo complesso, confrontandola con il resto della Campania o dell’Italia verifichiamo condizioni di vivibilità ambientale e di salute migliori, ma così il confronto porta fuori strada. Più opportuno sarebbe mettere a confronto l’Irpinia con province analoghe delle zone interne in modo da verificare l’esistenza di criticità. Analogo confronto andrebbe svolto tra le diverse aree territoriali della nostra provincia, studiando a fondo le aree critiche e confrontandole col resto della provincia.

Distretti Sanitari

 I Distretti sanitari dovrebbero essere luoghi dove il cittadino ottiene ascolto e risposte dalla sanità di prossimità: scelta e revoca del medico e del pediatra di libera scelta, esenzione ticket, vaccinazioni, autorizzazioni, pareri, visite specialistiche. Andrebbe rafforzata la specialistica ambulatoriale con la pubblicazione di altre ore al fine di contrastare le insopportabili attese e fornire risposte più immediate ai cittadini in branche fondamentali come l’ortopedia, la chirurgia, la cardiologia, l’endocrinologia. L’esperienza del Covid ci ha insegnato che con un messaggino è possibile raggiungere tutti gli assistititi (tamponi e vaccinazione). Si dovrebbe utilmente far tesoro di questa esperienza e trovare un metodo per evitare quelle lunghe file davanti ai distretti in occasione dei rinnovi di esenzione del ticket: è una condizione veramente sconcertante e che non denota rispetto per le persone.

Il rispetto delle persone implicherebbe uno sforzo di informatizzazione di molti di questi servizi coinvolgendo nella rete non solo gli enti locali ma anche le farmacie.

La sanità pubblica finisce in questo modo per essere vista con diffidenza dai cittadini utenti perché costringe ad adempimenti fastidiosi, in particolar modo per le fasce di età più anziane e sprovviste di mezzi di trasporto autonomo.

Cosa debbano essere e cosa nel concreto debbano fare i distretti sanitari con la realizzazione sul territorio delle Case della salute, degli Ospedali di comunità e dei Centri di coordinamento è una riflessione che non è mai stata avviata. Hanno prevalso le scelte campanilistiche, le voracità territoriali ma è mancata una programmazione organica ed efficace. Questa riflessione non può essere ulteriormente elusa e va da subito avviata coinvolgendo anzitutto gli amministratori ed i sindaci. In mancanza la talpa della privatizzazione continua a scavare: molti servizi oggi sono affidati a privati, direttamente o attraverso cooperative, con un abbassamento della qualità delle prestazioni e lo sfruttamento di tanti giovani operatori sanitari.

Emergenza Territoriale

 Il sistema di emergenza territoriale, da sempre basato su 3 strutture diverse: il Moscati dal quale dipendeva la Centrale Operativa, l’ASL che mette a disposizione i medici in ambulanza di tipo B e le associazioni che forniscono ambulanze, infermieri e autisti- soccorritori. Questo impianto ha subito negli ultimi anni un’importante modifica in direzione di una necessaria semplificazione: la centrale operativa, benché ancora ubicata presso il Moscati, è gestita dall’ASL. Le criticità più importanti attengono all’invecchiamento del personale medico e al mancato turnover per la difficoltà di reperire nuovi medici da destinare al servizio 118. Perciò capita sempre più spesso di svolgere il servizio con ambulanze senza il medico a bordo.

L’estensione del territorio irpino, la scarsa densità di popolazione, la percorribilità delle strade non sempre in buone condizioni, la chiusura degli ospedali di Bisaccia e Solofra sono tutti elementi che appesantiscono il sistema e rendono più difficoltosi gli interventi.

L’emergenza, in un territorio come il nostro, non può avere carenze o inefficienze.

È necessaria sul punto la massima attenzione e va fatto ogni sforzo per rafforzare il servizio perché il diritto alla salute non può essere a macchia di leopardo: deve valere per chiunque, anche per il cittadino irpino della contrada più sperduta di un paese dell’Alta Irpinia.

Nell’immediato sarebbe proficuo utilizzare personale medico specializzando in urgenza medica e chirurgica.

Liste d’attesa

 La pandemia ha fatto saltare il ciclo delle prestazioni e degli interventi previsti presso le strutture della sanità pubblica. Si sono accumulati ritardi e alla fine sono saltate 7,13 milioni di prestazioni. Nel 2022 è stato recuperato solo il 65,5 delle liste di attesa saltate. Ma non si tratta di un dato omogeneo. Anche qui c’è una graduatoria: la Toscana ha recuperato per il 99%, Trento per il 95%, l’Emilia Romagna per il 91%, poi le altre Regioni fino a trovare sul fondo la Calabria per il 18% e la Campania per il 10%. Il governo Draghi aveva stanziato un fondo di 500 milioni erogandolo alle Regioni, appunto per recuperare le liste di attesa. Chi ha speso meglio è riuscito a recuperare di più. Emilia, Piemonte, Liguria, Trento hanno speso quel che avevano ricevuto, il Molise ha speso appena l’1,7%, la Sardegna il 26%, la Sicilia il 28%. La Campania ha speso il 33% ed i suoi parametri sono molto bassi: il recupero degli interventi chirurgici programmati è al 22%, gli screening oncologici sono al 21%, le prestazioni di screening sono al 16%. In compenso la percentuale di committenza alle strutture private accreditate è salita al 37% a fronte di una media nazionale del 29%. Allo stato la situazione è questa: mesi per una risonanza magnetica o per una tac anche per pazienti oncologici, mesi e mesi per una visita ortopedica o cardiologica. I mesi diventano ore o al massimo pochi giorni se si ricorre al privato a pagamento. Intanto questo scandaloso squilibrio meriterebbe una più attenta considerazione del sistema dell’intramoenia che ha di fatto stravolto l’organizzazione del sistema pubblico. Ciò non succede a caso ma è il tentativo di favorire una sanità privata, ovviamente per chi se lo può permettere. Ciò merita una reazione forte perché cozza contro i diritti costituzionali. La carenza di personale medico nelle strutture pubbliche si scontra con la conservazione del numero programmato per l’accesso alla facoltà di Medicina e alle Scuole di Specializzazione. Che senso ha prevedere che solo 15 mila medici all’anno possano accedere a Medicina? Perché così pochi posti nelle scuole di specializzazione per anestesisti, ortopedici, addetti all’emergenza? Mancano 40.000 medici e altrettanto se ne aggiungeranno nei prossimi anni a causa degli esodi per raggiunta età pensionabile. Mancano infermieri e operatori socio sanitari. Il comparto della sanità, dell’assistenza, della prevenzione può dare opportunità di lavoro serio e qualificato ad oltre 500.000 unità attraverso un piano pluriennale di assunzioni. Con i tempi che corrono è il caso di considerare questa opportunità e di discuterne.

Ospedali e Pronto soccorso

Torna la necessità di discutere sul ruolo e le attribuzioni degli ospedali esistenti (Ariano, Sant’Angelo dei Lombardi., Solofra), già oggi in chiara crisi di identità. Col nuovo piano di sanità territoriale, con l’avvento delle case della salute e degli ospedali di comunità deve chiarirsi cosa debbano essere e cosa debbano fare. Una cosa va detta senza ambiguità: non possiamo continuare sulla strada del taglio del numero dei posti letto secondo criteri meramente ragionieristici contrari al valore costituzionale del diritto alla salute.

L’emergenza dei Pronto soccorso è generale, riguarda l’intero paese e più o meno tutte le regioni. Nel Mezzogiorno ed in Campania, come al solito, l’emergenza si aggrava e raggiunge livelli a volte insostenibili. Non fa eccezione il pronto soccorso del Moscati che è quello più sovraccaricato perché ad esso fa riferimento l’intero territorio provinciale ed anche le aree territoriali prospicienti del napoletano e del salernitano. Gli altri due, Ariano Irpino e Sant’Angelo del Lombardi, sono meno oberati perché percepiti come meno risolutivi a causa del minor numero di prestazioni di intervento e di cura che gli ospedali di riferimento riescono a garantire. Il Pronto Soccorso dell’Ospedale Moscati perciò è fortemente congestionato e da troppo tempo mostra i segni di carenze ed inefficienze sconcertanti: pazienti “in sosta” per giorni, in condizioni di promiscuità che spesso sono un’offesa alla dignità della persona, spazi inadeguati, attività svolte senza alcun rispetto per la privacy e il decoro del malato, giorni di attesa per un ricovero. Un luogo che più che di cura si presenta come un limbo nel quale si rimane sospesi in balia degli eventi e della fortuna. Sarebbe tutto da rifare e da ripensare. Non si evidenziano solo carenze strutturali e di personale, ma anche distorsioni organizzative. Anzitutto andrebbe recuperato tutto lo spazio disponibile trasferendo in locali idonei e specifici la così detta breve osservazione perché è necessario prima ancora che decoroso garantire una degenza dignitosa ai pazienti in attesa di ricovero nei reparti in quanto il Pronto Soccorso non può essere un cronicario. La centrale operativa va ricollocata in locali messi a disposizione dall’ASL.

In secondo luogo occorre sopperire alle difficoltà di organico anche attraverso una turnazione nelle attività di pronto soccorso del personale arrivo di tutti i reparti ospedalieri.

Emerge dunque un quadro di grave emergenza della Sanità pubblica in provincia di Avellin. Ciò comporta un impegno costante da parte dell’Ente Provincia per  rilanciare un consapevole dibattito sull’organizzazione della Sanità Irpina.