Sanità pubblica: lasciare o restare?

0
602

Di Franco Festa

Enrico è tentato di lasciare. Troppa tensione, troppa incomprensione, da qualche tempo anche tanta violenza immotivata. Aveva scelto di fare il medico perché era convinto di svolgere un servizio utile agli altri, e aveva scelto il settore pubblico. Ora è in crisi, e tanti con lui. E’ il senso collettivo che cade a pezzi, nella generale indifferenza. Ma cosa è questo bene pubblico, questo oggetto misterioso? C’era il servizio militare di leva, una volta. Un peso, una minaccia per tanti giovani. Ma era anche l’occasione in cui si incrociavano all’improvviso studenti, borghesi e giovani contadini, operai, manovali, di diverse regioni d’Italia, di paesi sconosciuti, con vesti dimesse, con un vocabolario modesto, ma con uno sguardo, un carico di speranze e un cuore uguali. Avellino, per anni, è stata, con il suo centro addestramento reclute, non solo un luogo da guardare con sospetto per la vita spesso artificiale di ordini e di disciplina che imponeva, ma anche il centro di un tessuto profondo di relazioni di amicizia tra ragazzi diversi che vivevano quella comune, difficile esperienza. Per fortuna l’obbligo è sparito, e speriamo che non torni mai . Quale è oggi un luogo pubblico simile, in cui si intersecano diversi destini, anche in questo caso in qualche modo costretti dalle circostanze? E’ l’ospedale Moscati. Nei corridoi, nei reparti, piano per piano, si incontrano persone di ogni condizione, di ogni età, di qualunque livello culturale e sociale, uniti non solo dalle contingenze spesso infauste che li hanno portati lì, ma dal fatto straordinario di usufruire di una sanità pubblica, almeno in teoria dalla loro parte, dalla parte dei cittadini. Enrico sa di tanti reparti che funzionano bene, che hanno retto dignitosamente l’urto terribile del Covid, sa di tanto personale, ad ogni livello, che fa il proprio dovere ogni giorno, con la consapevolezza di svolgere un servizio essenziale per tutti i cittadini, per il vecchio pensionato di Montemarano e il ragazzo disoccupato di Baiano, per chi può e per chi non può. Lui, Enrico, ha agito sempre così. Sa pure che ci sono tanti problemi, diversi disservizi. Sa che alcuni reparti, a partire dal pronto soccorso, sono luoghi di sofferenza. Sa che alcuni colleghi hanno una visione tutta discutibile del loro impegno, e che le loro ombre oscurano tutte le luci. Sa che i tempi di attesa sono diventati insopportabili. Enrico sa e ne soffre. Avverte una rassegnazione forte nei volti che incrocia e vorrebbe, allora, scriverlo sui muri: tutto ciò che di negativo si consuma intorno a lui ha un solo fine, ridurre sempre più gli investimenti nella sanità pubblica per incrementare quella privata, con costi altissimi che ricadono innanzitutto sulla povera gente. Proprio quella gente che Enrico è contento di veder muoversi liberamente nei corridoi, nei reparti, in attesa ai piani, irpini di ogni età, di ogni condizione sociale. Enrico cammina solitario e pensieroso per i lunghi corridoi, fremendo al ricordo dei lunghi anni trascorsi in corsia. D’un tratto incrocia una donna anziana appena dimessa, che indossa un modesto vestito nero. Lo guarda con tenerezza e lo saluta con affetto, e la luce in quegli occhi scioglie ogni dubbio.