Sant’Andrea di Conza, la notte dei fuochi, tra mito e realtà

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Nei giorni che hanno preceduto l’evento millenario del 17 gennaio, che dalla notte dei tempi festeggia un rito pagano; il fuoco dei i fuochi e poi trasformato in rito religioso dedicato a Sant’Antonio Abate o detto anche di Vienna, per le strade del paese, si è notato un fuggi fuggi generale dove gruppi di animosi e festeggianti bambini e ragazzi, per giorni e giorni e in una quasi frenetica corsa contro il tempo raccoglievano e per lungo e per largo tutto quello che c’era da raccogliere, nelle case, nelle cantine, per i boschi, l’importante che bruciassero, che facesse volume o che servivano per  alimentare e fare diventare sempre più maestosa una possibile catasta, la pira, che di li a pochi giorni  una volta accesa, fiamme e faville avrebbero illuminato a giorno  i vari rioni del paese e che esse  risucchiate dal turbine vorticoso  le avrebbero spinte su verso l’alto, come voler fare da ponte tra cielo e terra. Blocchetti di legna, tavolame di ogni genere e misura, mobili rotti o sedie, sgabelli, tavolini e tavoli di tutte le misure, si vedevano sfrecciare su carriole che si scontravano con altre cariche, fino all’inverosimile, di legname che venivano spinte a fatica da bambini stravolti dalla stanchezza, quasi come si stessero preparando a ricevere un attacco da un fantomatico assalitore o a preparare le barricate come quelle del ’48. Per il 17  tutto doveva essere pronto facendo tutto quello che era necessario affinché si potesse innalzare la più grande catasta fra i vari rioni, una sfida nella sfida; il Purgatorio, la Piazza, il rione Mazzini, Lu Tammuozzo, Piazza Pallante  etc., che sfidavano  i  rioni dei paesi  vicini. Infatti, solo chi abita in questi piccoli borghi di provincia in questa notte, specialmente quando il cielo è privo di nubi  non può che ammirare uno dei più grandi spettacoli, dove da lontano è possibile ammirare i vari borghi  illuminati dai falò che somigliano a  torte di compleanno dove le candeline si spengono lentamente solo a tarda notte quando viene consumato l’ultimo bicchiere di vino e l’ultimo tuzzon  acceso si  spegne. Ma al di là del puro divertimento intorno all’accensione del fuoco, e del trascorrere spensieratamente alcune ore in compagnia discorrendo del più o del meno, e ballando e cantando, mangiando e bevendo, qual è il vero significato di questo rito e il collegamento con Sant’Antonio Abate? Il Santo che si festeggia questo giorno, era un monaco egiziano, che viveva solitario nel deserto, e viene rappresentato con i propri attributi che sono il maiale, il bastone col campanello la croce a forma di tau e una pira in miniatura, il fuoco. Il santo di origini egiziane che morì centenario nel 356 fu creduto protettore degli animali, tanto è vero che i quadrupedi con gli zoccoli o con le gomme sono condotto laddove sia presente una chiesa a lui dedicata. I seguaci di questo santo dopo l’anno mille incominciarono a fondare ospedali, dove erano curate persone ghermite da una malattia detta fuoco di Sant’Antonio, perché il santo era apparso il guaritore. La malattia, una delle più atroci conosciute, inizialmente portava a un insopportabile bruciore interno, il fuoco, poi chiazze nere per il corpo che si trasformavano in cancrena e infine il distacco degli arti. La malattia che allora veniva curata con il lardo del maiale che serviva per smorzare il fuoco, ancora sussiste, anche se si presenta in modo lieve ed è conosciuta come ergotismo canceroso o herpes zoster. La parola herpes che dal greco significa serpente è una malattia molto frequente ancora oggi, che si presenta di solito come foruncoli sulle labbra e anticamente di solito si presentava  a persone che si dedicavano in modo ossessivo allo studio, e quindi la parola serpente era sinonimo  di conoscenza, perché anticamente la pelle di serpente era usata come supporto per scrivere, quindi malattia del serpente o della conoscenza.

Non dimentichiamo che il serpente, simbolo della conoscenza, vietata alle donne nel medioevo dalla chiesa, si presentò ad Eva che la fece conoscere all’uomo e che per questo fu rinnegata.  A ciò voglio ricordare che  la parola Lucifero, il diavolo si traduce dal latino portatore di luce, la conoscenza, il lume della ragione .

Quindi in realtà ad accomunare il rito del fuoco con il santo non è festeggiare l’accensione del fuoco, ma in realtà noi inconsapevolmente festeggiamo la sua morte. Infatti, il santo è conosciuto come colui che allontana dal corpo il  fuoco che lo tormenta, fuoco che in realtà,  deve essere inteso in modo allegorico, fuoco come conoscenza che strugge e porta dolore nell’animo di chi ne viene in possesso, cosi come la rosa è il simbolo della conoscenza  che provoca dolore quando si toccano le sue spine, e questo perché anticamente venivano usati  i suoi petali come supporti per la scrittura. Lo stesso è la lettera ebraica della tau e il maiale e che nel medioevo era il simbolo dispregiativo dell’ebraismo, la conoscenza per eccellenza, così come le fiammelle, la pira, the fire in inglese, sul capo degli apostoli che rappresentano lo spirito santo e che, una volta ricevuto, dava la possibilità di conoscere e parlare più lingue, ma soprattutto per il fatto che lui vivendo per più di un secolo in un luogo come il deserto, che in ebraico significa senza parola, la chiesa dei secoli bui voleva dimostrare che l’ignoranza faceva campare cent’anni.