Se io fossi Mario Draghi

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Lo spettacolo che stanno offrendo in queste ore i parlamentari, alle prese con la elezione del presidente della Repubblica, è per certi versi il ritorno alla vecchia politica. O meglio: un colpo di spugna al clima sereno che aveva caratterizzato la politica italiana da quando Sergio Mattarella aveva incaricato Mario Draghi di formare il governo. Quasi come fosse un miracolo l’intesa raggiunta con una vasta coalizione a sostegno dell’esecutivo (ad eccezione di Giorgia Meloni) aveva fatto sperare in un cambio di passo del modo di porsi dei partiti. Sotterrata l’ascia di guerra, suggestionati dall’autorevolezza e dal decisionismo del premier, essi, sia pure con qualche leggero sibilo di contrarietà, avevano consentito un percorso di grande novità e importanti successi. Questo fino a pochi giorni fa. Poi riecco la confusione, il viavai intorno ai caminetti dei capi di partito con la loro litigiosità. Fino a giungere ad un referendum su Draghi presidente della Repubblica. Fossi in lui eviterei ogni discussione sul suo ruolo futuro. Starei in silenzio (in parte lo ha fatto), lascerei agli altri il cannibalismo e, mantenedo un alto profilo, manderei tutti a farsi benedire. Sono certo che così comportandosi davanti al suo uscio di casa ci sarebbe una folla di parlamentari a chiedergli di accettare il Quirinale.

di Gianni Festa