Sovraesposti, al Carcere Borbonico l’arte come possibile via di fuga dalle prigioni del presente

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Sono vie di fuga dalle prigioni contemporanee quelle che suggeriscono gli artisti di Overxposed-Sovraesposti, la mostra a cura di Andris Brinkmanis, con la direzione artistica di  Rebecca Russo, di scena fino al 30 luglio al Carcere Borbonico. Un percorso che si fa riflessione sul presente, dalla riscoperta delle origini coloniali della modernità al legame tra violenza, genere e storia. Protagonisti artisti del calibro di Marina Cavadini, Gianluca Capozzi, Gea Casolaro, Paolo Cirio, Gaia De Megni, Binta Diaw, Delio Jasse, Giulia Maiorano, Edoardo Manzoni, Elisabetta Mariuzzo, Elena Mazzi, Alessandra Messali, Stefano Serretta, Giulio Squillacciotti.

Rebecca Russo, pesidente della Fondazione Videoinsight e direttrice del centro studi, creatrice della prestigiosa Collezione Videoinsight® , una selezione di opere d’arte contemporanea con Alto impatto Psico-diagnostico e Psico-terapeutico spiega come “La relazione con l’arte, che è individuale, può essere profonda solo se si ha tempo per guardare, per guardarsi mentre si guarda, avere tempo per una presa di coscienza, per notare i dettagli. Un’opera sola vista con calma e ripetutamente può essere terapeutica, può penetrare e stimolare l’evoluzione”

Una scelta. quella dell’ex Carcere come cornice della mostra, che non è certo casuale. La struttura fu costruita nel 1826 dall’architetto Giuliano De Fazio, ispirandosi al pensiero del filosofo Inglese Jeremy Bentham,  l’ideatore e il promotore di un nuovo tipo di prigione, definita “Panopticon”.

“Proprio la struttura “panottica”- spiega Russo – permette  l’osservazione immediata di tutto il visibile al suo interno. Era un luogo in cui i progionieri erano sempre esposti allo sguardo, alla vigilanza. La Mostra Sovra Esposti rovescia l’esperienza per sovraesporre gli spettatori ad immagini che possano scuotere- Il riferimento è alla società contemporanea in cui siamo sovraesposti”al rumore, agli smartphone, ai media, all’inquinamento, allo stress, alle videocamere, alla videosorveglianza, agli algoritmi, ai raggi infrarossi, alle televisioni, a internet, all’intelligenza artificiale. Di qui la proposta di possibili vie di fuga da omologazione e noia. Guardare immagini che provochino benessere può migliorare la qualità della vita, da qui la creazione del progetto Videoinsight, legato alla mission di scegliere e divulgare immagini che hanno contenuti positivi, benefici, terapeutici per provocare l’intuizione, l’immaginazione creativa, il problem solving. Abbiamo cercato di trasformare le lacrime in bellezza, lo stress in terapia, il disagio in salvezza…sovraesponendo il pubblico ad immagini che possano causare Insight, quindi impattare positivamente”.

Ad introdurre lo spettatore “L’opera luminosa, L’autre regard, 2016-2023 di  Giulia Maiorano, invito a cercare un differente punto di vista, a sviluppare l’Occhio Interiore dell’Insight. Un percorso che parte dagli Street Ghost di Paolo Cirio a partire dalle foto di persone trovate su Google Street View, riproposte come manifesti sfocati dalla grandezza naturale. Fantasmi che ritornano anche nelle opere di Gianluca Capozzi che trascende la rappresentazione e usa tutti gli elementi a disposizione per alludere a una realtà ampliata. Ad emergere nelle figure misteriose presenti nelle opere il legame con la nostra parte più profonda e gli stati di coscienza che generano visioni. Fino alla Dedicatoria di Elio Jasse in cui, alla tecnica fotografica peculiare dell’artista, Delio Jasse aggiunge, mediante interventi pittorici su fotogrammi, paesaggi urbani ed elementi cromatici. Un itinerario che attraversa il corpo come quello nero femminile nel caso di  Binta Diaw con il suo “Paysage Corporel” con fotografie che illuminano il corpo come terreno di resistenza e di azione. Così tracce e linee del gesso finiscono per rielaborare parti del corpo, tracciando paesaggi indefiniti. O ancora gli Abissi di Elisabetta Mariuzzo con una pittura connotata dalla ricerca del movimento o il Cielo Stellato di Gea Casolaro con un planisfero che propone nuove letture possibili dell’immagine per far emergere contenuti della realtà che il senso comune tende a cancellare. Di forte suggestione il corto performance di Giulio Squillacciotti con una rissa verbale rappresentata in un atto performativo, in un loop ciclico di gesti ed espressioni o la gabbia vuota di Edoardo Manzoni che si ispira ai richiami vivi usati nella caccia. Marina Cavadini gioca con le esperienze sensoriali legate al tatto, flirtando con la natura, capace di risvegliarci e consegnarci uno sguardo autentico sul reale.