L’addio di Luigi Di Maio al Movimento Cinque Stelle e la costituzione dell’ennesimo gruppo parlamentare, “Insieme per il Futuro”, è questo l’epilogo di una legislatura dominata dalla frammentarietà e dall’esplosione dei partiti personali. I Cinque Stelle dovevano essere il movimento che avrebbe cambiato la politica italiana ed invece, dopo il grande risultato del 2018, oggi sono diventati l’emblema di una politica tutta piegata sui propri interessi e senza nessuna visione del Paese. Due anime e due leader che si sono alla fine divisi. Conte, che pure è stato Presidente del Consiglio nella fase difficilissima della pandemia, oggi si spoglia dei panni istituzionali per indossare quelli del movimentista e Di Maio, che solo fino a qualche tempo fa manifestava in Francia al fianco dei gilet gialli, oggi è il più fedele interprete della linea europeista e atlantica che fa parte da sempre delle scelte naturali dell’Italia. Un’inversione di ruoli tipica di una questa fase, dove si guarda solo al presente e l’esercizio della responsabilità è legata alla funzione che in quel preciso momento si sta occupando. Se questa è la cornice, è evidente che Di Maio ha ribaltato i ruoli ed ora è lui che intende garantire la stabilità del governo dopo che Conte ha dovuto gestire da premier due esecutivi molto eterogenei e diversi tra di loro, prima con l’euroscettico Salvini e poi con il PD che ad un certo punto ne voleva fare una sorta di nuovo Prodi. Adesso Conte ha di fatto scaricato sul governo Draghi e dunque sul suo successore a Palazzo Chigi le contraddizioni dei Cinque Stelle ormai frantumati e divisi che in quattro anni hanno dimezzato i propri rappresentanti: nel 2018 erano 333, oggi sono 165. In politica ci si può dividere, è successo tantissime volte in questi anni, ma quello che è accaduto è innanzitutto una contesa personale che ha poi, ovviamente, anche dei risvolti politici. All’origine della crisi grillina c’è una identità irrisolta, nati da un “vaffa” ad una politica che col tempo perdeva credibilità, i Cinque Stelle sono passati dall’essere una forza antisistema a far parte integrante del sistema. Adesso Conte, visto il declino elettorale del movimento, sta provando a recuperare le ragioni iniziali dei Cinque Stelle, riportando al centro della sua azione politica le istanze più radicali anche polemizzando con il governo e criticandolo sulle scelte di politica estera anche se in molti, malignamente, ritengono che si guarda alla guerra in Ucraina ma in realtà si pensa alle candidature e al numero dei mandati. E allora come ha scritto Ezio Mauro “non è la guerra che oggi spacca i grillini, ma la cultura politica irrisolta del movimento, cresciuto per accumulo di identità successive, sovrapposte in base alle circostanze, alle opportunità e alle convenienze. Nella convinzione che il verso rituale di Grillo, insieme con il richiamo mitologico alle origini, basti ogni volta a benedire le svolte del vertice. Ancora oggi le due identità fondamentali dominano il campo e dettano lo scontro: sono il governismo e il populismo”. Queste ultime due parole sono state quelle chiave della legislatura incarnate sia da Di Maio, che solo quattro anni fa era il candidato premier dei Cinque Stelle ed ora ne è uscito e ha come orizzonte politico il fronte moderato, che da Conte, quando a Palazzo Chigi si autodefiniva l’avvocato del popolo. Oggi alla guida del governo c’è Mario Draghi che, suo malgrado, deve assistere a questa scissione che al momento non ha conseguenze sull’esecutivo che resiste e va avanti almeno fino alla prossima turbolenza anche perché come spiega un vecchio saggio come Casini sia Conte che Di Maio hanno una fifa matta del voto anticipato.
di Andrea Covotta