Un’Europa periferica

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Con la decisione della premier britannica Theresa May di sciogliere anticipatamente il Parlamento e di chiamare gli inglesi alle urne l’8 giugno, sul calendario elettorale europeo già di per sé ricco di appuntamenti, è stata segnata un’altra data che non è certamente meno importante, perché sarà la nuova Camera dei Comuni a sostenere il governo di Londra nella complessa trattativa sulla Brexit che, di fatto si aprirà solo quando a Westminster si saranno insediati i nuovi deputati. Ricordiamo rapidamente le altre scadenze: presidenziali francesi domenica 23 aprile (ballottaggio il 7 maggio); parlamentari tedesche il 24 settembre; politiche italiane nella prossima primavera, meno probabilmente in autunno anche se l’anticipo è ancora possibile. Si è già votato in Austria, Romania e Olanda: in nessuno di questi paesi c’è stato uno sconvolgimento del panorama politico, ma ovunque si è avuta la conferma di un trend già conosciuto e che si può riassumere nel raffreddamento del sentimento europeo degli elettori, ed è molto probabile che questa linea di tendenza verrà confermata. L’Europa, insomma, sta slittando lentamente ma inesorabilmente verso l’euroscettiscismo. Ovunque, i cittadini manifestano un diffuso malessere e una crescente sfiducia nei confronti di valori un tempo condivisi e che sono stati alla base di 60 anni di armonico sviluppo: pace, libertà individuale e collettiva, tolleranza verso le diversità culturali e religiose, solidarietà, integrazione, giustizia sociale, welfare. E’ probabile che alla fine del ciclo elettorale il vecchio Continente si sveglierà diverso da come l’abbiamo fin qui conosciuto: meno convinto di sé, più diviso e litigioso e quindi complessivamente più debole. Se consideriamo che oltre i confini dell’Europa, ad Est come ad Ovest, si stanno consolidando vecchi e nuovi soggetti protagonisti della scena mondiale, capiremo che per noi si prospetta un destino di marginalizzazione: da baricentro geopolitico rischiamo di diventare trascurabile periferia. La deriva nazionalista e neoislamica della Turchia post referendum è la riprova di una declinante attrattività del modello europeo. Balza agli occhi un altro elemento non da poco: il crepuscolo dell’Europa coincide, o nasce, con la crisi delle grandi famiglie politiche che ne avevano caratterizzato la vita e la vitalità fin dalla fine dell’Ottocento. In Francia il fallimento della presidenza Hollande trascina con sé il crollo del partito socialista, con gli eredi del gollismo (Fillon, Sarkozy, Juppé) incapaci di garantire un’alternanza al potere. Nella stessa Gran Bretagna, Theresa May si propone di dissanguare i laburisti, in ciò facilitata dall’inconcludente estremismo di Corbyn, ma è essa stessa insidiata da una componente isolazionista del suo partito conservatore, che punta sull’ ”hard Brexit”, non un’uscita negoziata ma una porta sbattuta in faccia a Bruxelles e alle altre capitali. E in Italia? Qui la crisi dei partiti tradizionali e dei loro eredi è evidente, ma ancor più preoccupante sembra la prospettiva che si apre oltre le macerie del vecchio ordine: una politica priva di strategia ma anche di principi etici, esplicitamente negati nell’intervista di Grillo ad “Avvenire”, in cambio della “costruzione di un’idea di futuro” lasciata al caso (per i risultati, vedere il vuoto di Roma); per non parlare dell’Europa: “Un sacco contenente 27 popoli che si chiedono come ci siano finiti dentro…”, con tanti saluti alla storia con le sue tragedie e le sue resurrezioni. Di questo passo, il 2018 non segnerà il risveglio da un brutto sogno ma l’inizio di un incubo, dominato dagli egoismi nazionali. Per scongiurarlo c’è solo da ritornare ai valori delle origini: democrazia e partecipazione in primo luogo. Se si mettessero in palio in un collegio elettorale europeo i 73 seggi del Parlamento lasciati liberi da Londra, se si conferisse una legittimità democratica al vertice della Commissione e del Consiglio con l’elezione diretta a suffragio universale, se si creasse un vero embrione di governo europeo (difesa, Economia, Integrazione), un primo passo nella direzione giusta sarebbe compiuto. Ma c’è poco tempo.
edito dal Quotidiano del Sud