Uno, nessuno, centomila centrodestra

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Non c’era bisogno di aspettare la manifestazione romana di Fratelli d’Italia o l’incontro fra i leader delle destre europee per accorgersi della convivenza sempre più difficile tra le diverse componenti del centro-destra italiano. Da tempo infatti le posizioni appaiono notevolmente divergenti e non facilmente componibili

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I continui, differenti posizionamenti su questioni cruciali hanno mostrato il profondo grado di deterioramento dei rapporti politici fra le forze dell’ex alleanza. E soprattutto quale sia – e di quale portata – la posta in gioco, cioè la leadership del centro-destra. Fiutata l’aria, la Meloni sembra voler seguire l’onda di posizioni più marcatamente di destra. Salvini, addirittura, si spinge fino a tentare di imporre un nuovo patto politico di centro-destra. Con una diversa leadership. Le ambizioni del mediocre segretario leghista, però, non hanno finora trovato grandi conferme in sede elettorale. Il suo modo di fare da elefante nelle cristallerie, raccoglitore di consensi nelle impaurite praterie lombardo-venete, non ha suscitato entusiasmi altrove. Non nel Mezzogiorno, dove molti non hanno dimenticato le frasi rivoltanti e offensive rivolte nel tempo ai meridionali. E neppure in gran parte dell’elettorato moderato, giustamente riottoso a essere rappresentato da un estremista con tratti xenofobi se non razzisti! Le mosse di Salvini per elezioni subito celano, tuttavia, anche la sua paura di essere preso in una tenaglia mortale: da un lato, un centro-destra più moderato (però sostanzialmente prono alle esigenze personali e aziendali dell’ex Cavaliere) e dall’altro un concorrente anti – sistema dilagante come il M5S.Sul fronte di FI , il Cavaliere – pur confermando la sua opzione moderata – ha finora evitato con cura di rompere o far deteriorare, oltre il punto di non ritorno, i rapporti con la Lega. Tuttavia, le caratteristiche di partito-azienda zavorrano il futuro di FI. Lo si è visto, al referendum, con i posizionamenti diversi tra Berlusconi e l’ala più aziendalista. E, oggi, con il suo appeasement verso il governo, da cui si attende protezione per Mediaset, in particolare misure – che sarebbero già allo studio – per rendere più difficili le scalate. insomma, il destino del partito appare inesorabilmente legato a quello del suo leader. Intorno a lui, una schiera sempre più dubbiosa e rissosa di generali e colonnelli. Tutti berlusconiani, almeno a parole, ma di "rito" diverso. Dal filoleghista Toti all’anti-Parisi Matteoli, al duo Santanchè-Mantovani contro la Gelmini, è tutto un fiorire di posizioni che la dicono lunga sulle difficoltà di controllo, da parte dell’ex Cavaliere, delle diverse anime della confederazione forzista. Aggravate dai timori della vecchia guardia per la ventilata costituzione di una nuova formazione, fatta di volti più giovani e freschi. E dalla oggettiva mancanza di possibilità che siano ricandidati e rieletti tutti. L’incertezza maggiore è però quella strategica, che intanto porta Berlusconi ad essere contrario ad elezioni a giugno. Se rimarrà il premio di maggioranza al partito, è probabile che egli punti a giocarsi sul terreno proporzionale la sua forza, per farla valere nella futura contrattazione politica. Senza escludere futuri Nazareni o simili. Se invece dovesse spuntare il premio alla coalizione, è probabile che i suoi sforzi sarebbero indirizzati alla ricostituzione di un fronte di centrodestra, con l’eventuale riassorbimento di partitini e fondazioni nati nel frattempo. Su tutto, comunque, primeggia ancora il nodo della sua incandidabilità – che indubbiamente ne condiziona le mosse – di difficile scioglimento prima di ottobre. In questa situazione già complessa, il centrodestra e le sue componenti moderate hanno comunque bisogno di tempo. Una forte accelerazione verso elezioni a brevissimo potrebbe esporli al rischio di fare la fine del terzo incomodo nello showdown tra le due corazzate Pd e M5S.
edito dal Quotidiano del Sud