Welfare e pensioni, la vera sfida è la solidarietà tra le generazioni 

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Mentre l’emergenza migranti assume posizione di centralità all’interno del dibattito europeo sui problemi umanitari, riemergono nell’opinione pubblica italiana alcune questioni sulla complessiva sostenibilità dei principi universalistici che sostengono l’attuale welfare, servizi sociali, previdenza, assistenza sociale, assistenza sanitaria, indennità di disoccupazione, sostegno al reddito, pubblica istruzione e difesa dell’ambiente. In particolare è il welfare intergenerazionale la questione che suscita preoccupazione per la sua sostenibilità futura, soprattutto per l’attuale sistema pensionistico. Il vecchio modello storico per il quale le pensioni venivano pagate da chi lavorava è stato messo in discussione dall’attuale cambio epocale e dalle mutate condizioni sociali. Da un alto l’aumento dell’aspettativa di vita e dall’altro la diminuzione dei lavoratori attivi, hanno generato perplessità e preoccupazioni sul futuro pensionistico delle giovani generazioni, sempre più convinte che per loro non esista la possibilità di andare mai in pensione.

Tutto ciò genera tensione sociale e pone l’esigenza di programmare con saggezza nuovi scenari futuri che affrontino il problema. Frattanto va positivamente rilevato che attualmente gli anziani costituiscono una risorsa insostituibile, con il loro impegno – anche economico – a favore dei figli e nipoti, un aiuto spesso irrinunciabile per tante famiglie che vivono in condizioni prossime alla povertà che già stanno in condizione di vero bisogno. Il problema futuro è quello di prevedere pensioni con valori economici molto inferiori a quelli attuali.

Allora sono d’obbligo alcuni interrogativi: esiste solidarietà intergenerazionale nel sistema pensionistico attuale? Come si può garantire, nel tempo, la sostenibilità e la stabilità economica del nostro sistema pensionistico? Per tentare di ipotizzare dei correttivi futuri di garanzia, bisogna tener conto almeno di tre fattori: l’invecchiamento demografico, l’indebitamento pubblico e la criticità attuale del mercato del lavoro. Le stime più accreditate prevedono che le nuove generazioni potranno beneficiare di un assegno pensionistico inferiore il 30% rispetto a quello dei loro padri e, per ottenerlo, dovranno lavorare fino a 70-75 anni contro i 60- 65 di oggi. Le riforme pensionistiche attuate negli anni (Amato del 1992, Dini nel 1995, Prodi nel 1997, Maroni del 2004 e Fornero del 2011) hanno tentato di raggiungere l’obiettivo dell’equità intergenerazionale nel nostro sistema previdenziale.

A fronte della complessa materia va recuperata la consapevolezza che vanno promosse adeguate misure per ridurre lo squilibrio pensionistico intergenerazionale attraverso misure di lungo periodo a favore dei giovani come la previdenza complementare e la copertura del vuoto contributivo connesso alla discontinuità del lavoro giovanile. L’attuazione della prima misura presuppone il recupero della cultura della previdenza per i giovani lavoratori. La seconda misura va attuata o con i contributi figurativi o con integrazioni nelle retribuzioni. Il problema politico di fondo resta sempre quello di attuare riforme concrete a favore di lavoratori con un modesto futuro pensionistico, recuperando risorse spesso utilizzate senza nessuno criterio di equità.

di Gerardo Salvatore edito dal Quotidiano del Sud