Zarrella e il mistero della sepoltura di Carlo Gesualdo, a Castelfranci a confronto sul volume

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Sarà presentato il 28 dicembre, alle 18, presso la sede del Libero Pensiero di Castelfranci il volume di Michele Zarrella “Carlo Gesualdo. I segni dell’uomo, i segni dei tempi, i segni del cielo”. Interverranno Felice Storti, presidente dell’associazione Libero Pensiero, Giovanni Boccella, assessore alla cultura del Comune di Castelfranci. Relazioneranno Fiorenzo Iannino, docente, Francesco Caloia, preside emerito. Modera Fiorella Delli Gatti, vicepresidente Libero Pensiero. A raccontare il valore di cui si carica la pubblicazione di Zarrella Giuseppina Finno in un’attenta recensione che proponiamo di seguito.

Il contributo che Michele Zarrella ha dato in ambito gesualdiano è ricco e vario. Il suo impegno è stato costante: ricca è la documentazione da lui prodotta, nel corso degli ultimi 30 anni. Impegno che è iniziato quale segretario della Pro loco Civitatis Jesualdinae, cui io ho avuto il piacere di affiancare.

Sempre prodigo a spendersi per il proprio paese, fornendo contributi fattivi: posso affermare che è stato l’animatore principale della Pro Loco, il punto di riferimento più importante: tutti i contatti li aveva lui. Era lui che scriveva mail, spesso ospitava a casa sua gli ospiti che venivano a Gesualdo, nella terra del Principe, in un religioso viaggio.

Nel suo ultimo libro “Carlo Gesualdo. I segni dell’uomo, i segni dei tempi, i segni del cielo” l’autore delinea brevemente, ma in maniera esauriente, un profilo del principe Carlo Gesualdo nei suoi aspetti biografici e artistici, che hanno caratterizzato la sua tormentata esistenza, pieni di gravi lutti e di eventi tragici.  Sottolineando come il Principe abbia dovuto convivere con le convenzioni del tempo in cui è vissuto, e sottostare agli obblighi, cui ha dovuto piegarsi. Di come abbiano scelto sempre gli altri per lui, vedi i suoi due matrimoni. Di come sia stato costretto, suo malgrado, a compiere un atto che andava contro la sua volontà, ma che le leggi e le convezioni del tempo glielo imponevano, per difendere l’onore di un Gran Nome, di un Grande Casato.

Troviamo anche riferimento al matrimonio di Emanuele Gesualdo con Polissena Furstemberg, il cui matrimonio fu reso possibile, grazie a una fitta rete diplomatica, cui non risultò estraneo il re di Spagna. Perché Carlo Gesualdo volle fortemente questa unione? Desiderava realmente che al suo casato fosse assicurata una progenie tra gli alti dignitari asburgici? O, magari, c’era dell’altro? Quello che possiamo dire con certezza che la Spagna esercitò un grande peso nella politica e nella cultura del centro Europa, a partire della metà del secolo sedicesimo. Rodolfo II era cresciuto a Madrid e alla sua corte praghese vi era una forte rivalità tra i plenipotenziari spagnoli, quelli del Papa e dei vari stati italiani. La posta in gioco era il bilanciamento dell’influenza del protestantesimo e l’affermazione della romanità, nel campo della fede e orientamento culturale. Per Carlo Gesualdo, interamente “spagnolo”, unire il nome di famiglia al più influente e colto casato cattolico boemo, legato sia alla corte madrilena sia praghese, significava uscire dal proprio senso di isolamento, dare nuove possibilità di carriera al figlio Emanuele e forse redimersi definitivamente dal senso di colpa per aver ucciso la bellissima prima moglie Maria d’Avvalso (d’Avalos). A tessere queste tele fu Federico Borromeo, di manzoniana memoria, attraverso il suo nunzio apostolico a Praga. Stefano Felis, maestro di Carlo Gesualdo, che faceva parte del seguito del Nunzio apostolico presso la corte di Rodolfo II conobbe De Monte, che era maestro di cappella a Praga, negli anni novanta del secolo sedicesimo, fece conoscere le prime stampe ferraresi dei madrigali di Gesualdo.

Coniugando la sua passione per l’astronomia e l’interesse per le vicende che hanno interessato la vita di Carlo Gesualdo, l’autore, applicando le nuove convenzioni, sancite dalla Conferenza Internazionale dei meridiani di Washington, del 1884, dimostra come il duplice delitto di Palazzo San Severo a Napoli non sia avvenuto nella notte fra il 16 e il 17 ottobre 1590, come riportano tutte le fonti, ma sostiene, invece, riportando dati concreti, che sia avvenuto tra il 15 e 16 ottobre. Sempre applicando le nuove convenzioni, dimostra che la morte del Principe sia avvenuta a Gesualdo il 7 settembre 1613, e non l’8 settembre, come riportate dalle fonti dell’epoca.

Non mancano riferimenti importanti sulle opere del Principe Musico (musico), riportando citazioni di eminenti studiosi che si sono espressi a riguardo. La chiarezza espositiva rende il testo fruibile anche a lettori che non hanno conoscenze approfondite a riguardo. In particolare sottolinea l’importanza che ha avuto Igor Stravinsky per la riscoperta della musica di Carlo Gesualdo. Evidenziando come dopo anni di biografie che avevano distorto la personalità del Principe, grazie alla riscoperta della sua musica per opera di Stravinsky, Carlo Gesualdo ha assunto un ruolo indubbio tra i grandi musicisti “creativi” del mondo. Si riporta la narrazione che Stravinsky fa, riguardo al suo viaggio a Gesualdo: «In quei giorni mi trovavo in Italia in compagnia di Bob Craft. Il nostro viaggio aveva uno scopo ben preciso, mi ero recato in un piccolo paese arroccato nella provincia di Avellino, che si trova a qualche ora di viaggio da Napoli, in una zona rurale piuttosto selvaggia e di un certo fascino: l’Irpinia. Posso andare soltanto dove i miei appetiti musicali mi portano, il paese a cui mi riferisco si chiama Gesualdo e io ero sulle tracce di Don Carlo Gesualdo, principe di Venosa, Conte di Conza: un compositore tanto grande quanto inquietante».  Queste le parole di Igor Stravinskij, che fu il primo ad intuire la contemporaneità della musica di Carlo Gesualdo, delle sue partiture scritte quattro secoli prima e pubblicate proprio a Gesualdo, nella Stamperia che aveva impiantato nel suo castello. Il “Monumentum pro Gesualdo” è un omaggio che Stravinsky rese a colui che considerava un vero precursore della musica novecentesca, tanto da dichiarare, a più riprese, di essersi quasi “dissolto” nell’arte sublime del Principe madrigalista. Un omaggio a colui che considerava un vero e proprio musicista d’avanguardia del XVI secolo.

L’autore si è soffermato inoltre, sull’ipotesi avanzata dal compianto Armando Montefusco, il quale in un suo scritto aveva affermato che riteneva che la salma del Principe, seppellita a Gesualdo, insieme a quella del figlio Emanuele, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, si trovasse ancora là, e che probabilmente non fosse stata mai traslata.  Non abbiamo avuto mai notizia di quando fosse stata translata (traslata) nella Chiesa del Gesù nuovo a Napoli.

L’informazione che le spoglie del Principe si trovavano nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie, è di fonte certa, perchè (perché) è riportata da Monsignor Andrea Pierbenedetti (Perbenedetti), vescovo borromaico, che fu mandato, dal Cardinale Federico Borromeo a Venosa. Il Vescovo, in una sua relazione, scritta in occasione di una sua visita apostolica nelle diocesi di Avellino e Frigento. In essa è scritto che il vescovo il 31 ottobre del 1630 si trovava nella cittadina di Gesualdo e che si apprestava a visitare la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, annessa all’omonomo Convento dei Padri Cappuccini, dopo aver celebrato la messa, fece annotare dal suo segretario alcuni particolari che descrivevano lo stato in cui versava la Chiesa. Nella relazione si legge che quando il Vescovo si trovò nei pressi della cappella che si trova a sinistra, entrando dell’ingresso (dall’) principale della chiesa, si accorse della presenza di due sepolture, presenti nella cappella, chiese al suo segretario di prendere nota dei tumuli di “quegli eccellentissimi signori”, i cui nomi erano di Carlo Gesualdo e suo figlio Emanuele.

Il vescovo sapeva benissimo chi fossero “i due illustri personaggi” sepolti sotto quei tumuli, perché li aveva conosciuti in vita, venti anni prima. Si racconta, infatti, che Emanuele Gesualdo fosse morto nelle braccia del Vescovo, nella città di Venosa, dopo aver chiesto perdono per le sue sregolatezze giovanili. Il Principe Carlo, invece, lo aveva conosciuto per tramite di suo cugino il Cardinal Federico Borromeo, di cui il vescovo per anni era stato collaboratore. Il Pierbenedetti (Perbenedetti) conosceva bene anche il luogo, perché quando fu designato Vescovo, dal cardinale Federigo Borromeo, per la diocesi meridionale lucana di Venosa, prima di recarsi a Venosa passò per Gesualdo, lasciando anche questa volta una documentazione, inerente la Pala del Perdono.

La testimonianza fornita dal Vescovo sembra sia confermata anche da alcuni documenti custoditi nel Grande Archivio di Napoli, nell’Archivio di Stato di Potenza, nell’Archivio segreto del Vaticano, e da alcuni estratti stampa dell’ordine dei Gesuiti e dall’Archivio parrocchiale di Calitri dai quali, a detta di alcuni studiosi, emergono dei particolari che fanno presumere che la salma non sia mai stata trasferita da Gesualdo a Napoli. A questo punto potremmo ipotizzare che nella Chiesa del Gesù nuovo in Napoli fu edificata come tomba, postuma monumentale, di famiglia dedicata a S. Ignazio, ma fu la Chiesa dei padri cappuccini, di S. Maria delle Grazie, meno monumentale, ma tanto cara al principe Carlo a ospitare le spoglie mortali di Carlo Gesualdo e di suo figlio Emanuele. Alla luce di quanto esposto, permangono tanti i punti oscuri e interrogativi, per cui ci chiediamo ancora, che fine hanno fatto i resti mortali di Carlo Gesualdo e suo figlio Emanuele? Furono entrambi trasferiti nella chiesa del Gesù a Napoli? E per opera di chi?

L’autore parla anche dell’armatura donata da Eleonora d’Este a Carlo Gesualdo, come regalo di nozze, riportando tutti i passaggi che l’hanno portata nel castello di Konopiste (Konopiště), in Boemia, sulla cui autenticità esistono oggi molti dibattuti (dibattiti): questo sta a significare che sono in corso molti studi. Il risultato di uno studio effettuato dall’’artista Kathy Toma, confermano che ci sono molti dubbi.

Nel libro vengono riportate anche alcune particolarità originali e uniche presenti a Gesualdo quali, ad esempio, lo stemma di Casa Gesualdo con leone rampante e nove gigli che si trova sulla facciata della Chiesa di Santa Maria delle Grazie. A contraddistinguere il volume preziosi documenti, tra questi il protocollo della Proloco Civitatis Jesualdinæ e la richiesta di intitolare il Teatro di Avellino a Carlo Gesualdo.

Ad arricchire il testo pagine descrittive della Città di Gesualdo, dove traspare tutto l’amore che l’autore nutre per la nostra città! Sottolineando che con Carlo Gesualdo il luogo assunse una precisa configurazione urbanistica, ancora visibile, nonostante le alterazioni apportate nel corso dei secoli. In quel periodo ci fu una trasformazione del nucleo medievale esistente, in parte fu ristrutturato, ma furono creati, ex novo, spazi più ampi e organici, secondo i criteri imposti dal prevalente gusto rinascimentale. La città, ricca di storia, con i suoi numerosi monumenti che ricordano il suo passato: il Cappellone (XVII sec.), il Convento dei PP. Cappuccini (XVI sec.), la chiesa di San Nicola (XVIII sec.), la fontana dei Putti (1605), la chiesa di S. Maria della Pietà (XVII sec.) e la chiesa del SS. Rosario (XVII sec.), per citarne alcuni, oggi è ancora dotata di molte testimonianze che ricordano quegli antichi fasti. Possiamo dire che il castello maestoso, le mura arroccate, le chiese, gli austeri caseggiati dei conventi, la fontana dei Putti con le loro iscrizioni, gli stemmi sopra le chiese, sui portali delle case, sono stati religiosi custodi della memoria di un passato glorioso che va preservato.