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Nel gioco dei colori, bianca come le schede finora votate o rosa dei candidati alla Presidenza, il nome del successore di Mattarella dopo i primi tre scrutini ancora non c’è. Non è un fatto nuovo, anzi, spesso i tempi sono stati lunghissimi. Si lavora per trovare una soluzione capace di raccogliere un’eredità così pesante come quella dell’attuale Capo dello Stato che gode di un ampio e giustificato consenso da parte dell’opinione pubblica. Da oggi il quorum per l’elezione scende e gli italiani si augurano un presidente di valore, di prestigio, in grado di unire e di rappresentarli di fronte al mondo. Il momento, proprio sullo scacchiere internazionale, è di grande tensione con i venti di guerra che spirano in Ucraina con tutte le gravi e possibili conseguenze. Occorre, dunque, evitare i tempi lunghi e al contrario imprimere una accelerazione immediata evitando le piccole manovre di cabotaggio per trovare una soluzione alta. Se guardiamo al passato, la storia parlamentare ci insegna che in 75 anni di vita repubblicana, il filo che ha unito il Paese è stato quello abilmente tessuto da chi ha ricoperto la carica di Presidente della Repubblica. Un “sarto” delle Istituzioni che, quando è stato necessario, ha rammendato la tela strappata dai partiti e ha unito il Paese. Certo ci sono state delle eccezioni, la più vistosa è l’ultimo periodo di Cossiga al Quirinale, ad esempio, ma il collante speciale usato a partire da De Nicola e fino a Mattarella è comune a tutte le figure dei capi dello Stato. Un modo di tenere insieme un Paese giovane e che usciva dalla dittatura fascista ha contrassegnato l’azione dei primi Presidenti e poi nell’ultimo periodo hanno dovuto unire partiti diversi abituati più allo scontro che al confronto. Come ha scritto Claudio Tito, il Quirinale ha rappresentato in tutti questi anni un raccordo, gli uomini che si sono seduti sulla poltrona più alta hanno in qualche modo – e magari con modalità personali – consegnato una eredità univoca al successore, a prescindere dalla loro estrazione politica. Questa speciale eredità segna una continuità senza interruzioni e non va dispersa oggi che stiamo vivendo una sorta di crisi di sistema e dunque la Presidenza della Repubblica assume un ruolo politico e non notarile. Al Quirinale, insomma, non conta solo la procedura o il cerimoniale, catafalchi e corazzieri, simboli ed onorificenze, ma come ha scritto il filosofo Massimo Adinolfi, il Palazzo può essere definito come il punto di resistenza, e di indipendenza, chiamato ad esercitare una essenziale funzione di stabilizzazione e di disciplina della vita politica italiana. Se questo punto dovesse scomparire, o anche solo svilirsi, consumarsi, perdersi, un aspetto fondamentale, fatto da luoghi conosciuti, panorama familiare, consuetudini stabilite e soprattutto prassi rispettate, verrebbe meno. Tra le particolarità di questa elezione c’è anche quella che il futuro Presidente coprirebbe tre legislature: l’attuale, la prossima e la prima parte di quella che, presumibilmente, comincerà nel 2028.  Indicare un tempo così lungo serve anche a capire il compito che dovrà affrontare il Capo dello Stato che si trova davanti un sistema dei partiti svuotato da tempo, di idee, di competenze, di suggestioni che la cronaca di questa legislatura impietosamente ci ha rivelato. Il Presidente della Repubblica, ovviamente, non può entrare nelle dinamiche dei partiti ma può guidare, come è già accaduto, con una sorta di redini invisibili il processo politico dove in questi anni un po’ tutte le forze politiche hanno perduto peso ed influenza. L’elezione avviene nel pieno di una debolezza del sistema e che coincide con l’emergenza sanitaria che dura da due anni e si spera di vedere presto la luce in fondo a questo tunnel.

di Andrea Covotta