Chi vince alla roulette del Governo?

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Poiché la conclusione della trattativa fra Lega e Cinque Stelle per la formazione del Governo è stata già più volte data per imminente e subito dopo rinviata, non è prudente avanzare l’ennesima previsione che potrebbe ben presto rivelarsi infondata, come le precedenti. Certo, il programma, o meglio il contratto fra le due parti è stato completato e sottoscritto, e questo è sicuramente un passo avanti, anche se il testo dovrà essere sottoposto alla valutazione del Presidente della Repubblica, che forse avrà qualcosa da dire oltre che sui contenuti anche sulla procedura seguita, che è esattamente l’opposto di quella dettata dalla Costituzione, la quale prevede che sia il presidente incaricato a formulare il programma e a presentarlo alle Camere per ottenere le fiducia. Ma dall’accordo fra le parti manca, almeno fino al momento in cui scriviamo, un punto essenziale, determinante: il nome di colui che Luigi Di Maio ha definito con tono minimalista l’ “esecutore”, ma che, sempre a norma della Costituzione, è invece il “responsabile” della politica del governo, la coordina e la dirige. Non è un dettaglio da poco, visto che anche nella accezione comune un governo si qualifica dal nome di chi lo guida più che dalle sigle dei partiti che formano la maggioranza. Nella storia italiana ci sono stati i governi De Gasperi, i governi Fanfani, i governi Moro, e poi i due governi Craxi, e via via fino ai governi Berlusconi, Prodi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni. Man mano che passa il tempo, si dimenticano i nomi dei ministri, anche importanti, ma non quelli dei capi dell’esecutivo, che danno il nome al governo un po’ come i consoli davano il proprio nome all’anno nel calendario romano.

Allora, chi battezzerà il prossimo governo? O meglio, visto che i due capi dei partiti contraenti l’intesa si trovano in queste ore in Val D’Aosta, regione dove ha sede uno dei pochi casinò italiani, chi vincerà la partita alla roulette di palazzo Chigi? Qui, nonostante i rischi dell’impresa, azzardiamo l’ipotesi che a vincere sarà proprio  Luigi Di Maio, che si è mosso con grande spregiudicatezza, cedendo molto sul programma per ingraziarsi il capo leghista, ma badando bene ad eliminare dal terreno di gioco tutti coloro, anche suoi seguaci, che potevano ostacolare la sua corsa verso il traguardo. L’altro giorno ha scoperto le carte, per una volta usando correttamente il congiuntivo: “Qualunque nome stia girando, ha detto, è già bruciato”. E’ proprio così: nelle scorse settimane il capo politico dei Cinque Stelle ha accuratamente reciso, uno dopo l’altro, tutti i petali della margherita che gli venivano presentati, in qualche caso aiutato anche dagli errori di alcuni pretendenti. Via Cottarelli che dava garanzie sul piano della tenuta dei conti, via Massolo che avrebbe rassicurato i partner internazionali, via Sapelli che parlava troppo, via Giorgetti che avrebbe fatto ombra a Salvini, via tutti i possibili nomi pentastellati che non brillano di luce propria. Alla fine resta solo lui, che si è autocandidato già mesi prima delle elezioni e che non ha mai cambiato idea sul fatto di essere predestinato a quell’incarico.

Anche Salvini sembra rassegnato. Addirittura, i suoi hanno fatto correre la voce che lo stesso Mattarella, messo di fronte alla proposta di un nome dei Cinque Stelle meno noto di Luigino, avrebbe potuto obiettare: meglio l’originale che un succedaneo. Anche la riunione convocata in fretta e furia del Consiglio federale della Lega sarebbe servita a preparare il partito all’abbandono definitivo di una trincea data per ormai persa. Con tutte le conseguenze che si possono immaginare sui rapporti già vistosamente deteriorati nell’alleanza di centrodestra.

Abbiamo già avvertito, e lo ripetiamo, che anche questa previsione, come le altre formulate in precedenza, può essere smentita già domani, troppe essendo le incognite che ancora gravano sul finale di partita, a cominciare dalle decisioni che assumerà Sergio Mattarella. Eppure, finora, che la carta vincente finisca nelle mani del capo politico del Cinque Stelle, ha una sua logica che appare inoppugnabile.

di Guido Bossa  edito dal Quotidiano del Sud