Draghi, manca ancora la stabilità

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C’è una maggioranza ampia ma non la stabilità. Si muove lungo questo apparente paradosso il governo Draghi che per andare avanti spedito deve saltare gli ostacoli e le diverse esigenze e sensibilità dei partiti che compongono la sua larga coalizione. Draghi è convinto di poter perseguire un ambizioso disegno riformatore che dia solidità all’Italia attraverso i soldi del Recovery Fund. Il clima però non è dei più tranquilli si comincia ad intravedere qualche sintomo di logoramento, proprio in un momento che richiederebbe l’intelligenza di un grande obiettivo per chiudere finalmente la stagione tragica della pandemia. Draghi si sta rivelando un uomo abile anche nell’equilibrismo delle parole e nell’assecondare appetiti e ambizioni ma questa sua capacità adesso deve reggere alla prova di una visione e di un progetto per il Paese ed evitare di cadere in una sorta di film già visto con le tensioni quotidiane tra alleati come nei governi Conte I e II. Le frizioni più frequenti sono con Matteo Salvini che polemizza spesso con il ministro della Salute Speranza e vorrebbe cancellare il coprifuoco alle 22. Il leader della Lega evita però di tirare troppo la corda e confida nel piano di vaccinazioni che potrebbe ridare fiato all’economia e però già avverte: se quest’estate tutto sarà superato, gli sbarchi dei clandestini non potranno più essere tollerati. Più articolata è la posizione del partito democratico. Enrico Letta sta spingendo molto sul tasto dei diritti sociali e civili, dallo ius soli alla richiesta di cittadinanza per Zaki, fino ad indossare la felpa di Open Arms il giorno prima del pronunciamento del Gup, a Palermo nel processo a Salvini. Battaglie e simboli che diventano il terreno ideale per polemizzare proprio con il leader della Lega, ma contemporaneamente Letta vuole evitare di ostacolare il cammino di Draghi, costruire un’intesa con i Cinque Stelle senza subalternità e senza affidarsi, come aveva fatto Zingaretti, alla leadership di Conte. Insomma un nuovo centrosinistra diverso per programmi e idee rispetto alla destra sovranista. Il punto più delicato per Draghi è proprio questo: tenere unito il fronte su cui è nato l’esecutivo evitando lo scontro frontale tra Salvini da una parte e l’ala sinistra del governo dall’altra incarnata da Pd, Cinque Stelle e Leu, ed evitando soprattutto di farlo apparire come un derby tra aperturisti e chiusuristi. Il clima, al momento, all’interno della maggioranza resta carico di tensioni ma nessuno dei protagonisti è intenzionato ad affondare un colpo risolutivo almeno fino alla legge di bilancio. Da quel momento in poi si entra in un’altra partita che coincide con l’elezione del prossimo Capo dello Stato, una partita che potrebbe cambiare gli attuali equilibri. Equilibri che, secondo molti analisti e commentatori politici, solo Draghi può garantire in attesa che si apra il grande gioco, ma come mette in evidenza il vicedirettore di Huffington Post Alessandro De Angelis “stare al governo pensando al Colle è operazione che logora il governo e, come effetto collaterale forse previsto, anche chi lo guida. Non a caso Draghi, nel corso delle consultazioni con i partiti, ha invitato, e l’invito è rimasto inascoltato, a mettere da parte i tempi più divisivi, non contemplando cambi di maggioranza in corso d’opera. Chissà. I numeri suggeriscono grande prudenza perché in questo Parlamento è complicato eleggere un capo dello Stato senza il centrodestra. Quasi impossibile legare all’elezione l’ipotesi di uno scioglimento per andare a votare: l’istinto all’autoconservazione è più forte di ogni candidato”. In attesa della partita del Quirinale occorre vincere quella del ritorno alla normalità. Una gara decisiva per Draghi che è stato chiamato a segnare una discontinuità con il governo Conte proprio su piano vaccinale e recovery plan.

di Andrea Covotta